La sfida tra Bruxelles e Mosca per la Moldavia che scende in piazza
Era dal 1991, quando la Moldavia aveva ottenuto l’indipendenza dall’ex Unione sovietica, che nella capitale Chisinau non si vedevano quarantamila persone in piazza unite per contestare il governo. Lo scorso settembre i manifestanti avevano piantato 300 tende per le vie del centro con un sit-in che ricordava quello di piazza Maydan a Kiev nel 2014. La settimana scorsa le proteste hanno ripreso vigore: tra le 15 mila persone che manifestavano, filo-russi e partiti europeisti hanno formato un blocco compatto contro l’esecutivo guidato da Pavel Filip, il terzo primo ministro del paese in meno di un anno. A gennaio, dopo tre mesi di stallo, il Parlamento moldavo aveva trovato in Filip il successore di Valeriu Strelet, il premier sfiduciato lo scorso ottobre dalle Camere perché coinvolto in una storia di corruzione. Oltre un miliardo di dollari, equivalente a un ottavo del pil nazionale, è svanito nel nulla. Le indagini hanno appurato l’esistenza di un sistema fraudolento, basato sulla complicità tra la classe politica e tre istituti di credito moldavi. Diversi arresti eccellenti, tra cui quello dell’ex primo ministro Vlad Filat, hanno generato una crisi politica che dura fino a oggi.
Il nuovo premier Filip, anche lui coinvolto nell’inchiesta per corruzione, è anche il braccio destro di Vlad Plahotniuc, leader del Partito democratico filo-europeista che dal 2009 governa il paese. Plahotniuc, dopo i successi del 2009, attira oggi su di sé l’opposizione trasversale della popolazione che lo considera uno dei politici più corrotti del paese. Le manifestazioni dello scorso ottobre convinsero il presidente della Repubblica a non nominarlo premier ma le pressioni di Plahotniuc furono sufficienti affinché fosse il suo alfiere Filip il prescelto come nuovo capo del governo. Pur di evitare nuove elezioni, il Parlamento è stato convocato in tutta fretta in seduta straordinaria lo scorso 21 gennaio: in appena 30 minuti, con molti deputati assenti perché non c’era stato il tempo per avvisarli, la camera ha dato il voto di fiducia a Filip che in appena cinque giorni aveva già scelto i ministri. Il giorno dell’insediamento, migliaia di persone hanno preso d’assalto il Parlamento, intrappolando all’interno i deputati, alcuni dei quali sono stati malmenati dalla folla che chiedeva lo scioglimento delle camere ed elezioni anticipate.
“Fino a qualche mese fa europeisti e filo russi protestavano separatamente contro il governo. Poi si sono coalizzati”, spiega al Foglio il giornalista Dumitru Ciorici. Gli obiettivi restano però distinti: “I filo-europei vogliono spazzare via Plahotniuc e il suo entourage dalla scena politica, mentre la priorità dei filo-russi è quella di tornare alle urne. Secondo i sondaggi potrebbero ottenere oltre il 50 per cento dei voti in un futuro Parlamento”. Un’ipotesi che l’Unione Europea intende scongiurare per non perdere dalla propria sfera d’influenza un paese strategico, al confine con l’Ucraina. In un comunicato ufficiale, Maja Kocijancic, portavoce della Commissione europea, ha espresso la speranza che “il paese ritrovi il dialogo”. Ma il sentimento di amicizia e vicinanza verso l’Ue risente dei continui casi di corruzione: “Nel 2009, quando al governo c’erano i comunisti, il 60-70 per cento della popolazione voleva una politica più europeista”, spiega Ciorici. “Gli oppositori furono capaci di raccogliere le richieste del popolo e da allora sono andati al governo. Ora però sta succedendo il contrario: l’Ue è vista come difensore di una classe politica corrotta e solo il 40 per cento dei moldavi è ancora favorevole a un ingresso nell’Ue, mentre aumentano quelli che vogliono una politica più filo-russa”. Un portavoce dell’Unione europea ha confermato al Foglio le preoccupazioni di Bruxelles: “L’Alto rappresentate della politica estera, Federica Mogherini, sta seguendo da vicino l’evoluzione della crisi in Moldavia. E’ chiaro però che il governo deve andare incontro alle richieste dei cittadini e risolvere le questioni prioritarie per il paese, prima di tutto le riforme e la stabilizzazione dell’economia. E soprattutto la crisi bancaria e la corruzione”.
[**Video_box_2**]La situazione economica del paese, dopo i buoni risultati dello scorso anno, è peggiorata. Il salario medio è di 220 euro al mese e circa 500 mila persone, su una popolazione totale di appena 4 milioni di abitanti, lavorano in Russia mantenendo le rispettive famiglie con le rimesse. Anche sotto il piano delle risorse energetiche il paese dipende da Mosca, che esporta in Moldavia il 75 per cento del suo fabbisogno di gas. Dallo scorso anno il paese è in trattative col Fondo monetario internazionale (Fmi) per ottenere un prestito: “Una visita della delegazione del Fmi è attesa a Chisinau entro i prossimi due o tre mesi per sottoscrivere un accordo. Il rischio è la bancarotta”, spiega Ciorici. Mentre i pagamenti dei salari e delle pensioni per i prossimi mesi sono a rischio, la vicina Romania ha appena concluso un prestito d’emergenza alla Moldavia da 65 milioni di dollari. Il premier rumeno Dacian Ciolos ha chiarito però che l’aiuto è condizionato all’approvazione delle riforme e, soprattutto, alla sottoscrizione di un accordo col Fmi. Condizioni difficili da rispettare in caso di nuove elezioni e di una vittoria dei partiti filo-russi.