Il morto dell'Oregon e l'America che non c'è più
Alla fine l’assedio militare dell’Oregon ha prodotto, oltre a molti arresti, anche un morto, come era facile prevedere. Stavolta non si è arrivati alla carneficina di Waco, quando nel 1993 persero la vita 76 persone, ma il sangue di LaVoy Finicum ha comunque bagnato la terra dopo che un agente dell’Fbi ha sparato contro di lui. Quello che è accaduto nelle scorse ore non è un piccolo episodio insignificante, perché invece aiuta a capire cosa sia oggi la società statunitense: che è assai diversa da quell’universo jeffersoniano che si dotò dei primi dieci emendamenti proprio per legittimare la resistenza dinanzi a un governo oppressivo che, ad esempio, violi i diritti dei proprietari.
Il secondo articolo del Bill of Rights difende esattamente la facoltà di portare armi sulla base dell’idea che “una milizia bene organizzata è necessaria alla sicurezza di uno Stato libero”. Più di due secoli fa, il partito detto antifederalista che, a Filadelfia, si batté per ottenere questa tutela dei diritti fondamentali era ispirato dall’idea che – affrancatisi dal dispotismo britannico – i coloni americani dovessero essere sempre attrezzati a proteggere vita, libertà e proprietà. Ma da allora le cose sono cambiate.
I contadini che hanno occupato il Malheur National Wildlife Refuge in Oregon volevano resistere dinanzi a una forma crescente di controllo pubblico sui terreni privati. Hanno dato voce alla vecchia America del nesso libertà-proprietà, ostile alla nozione europea di “sovranità”: hanno incarnato quel mondo istintivamente libertario che periodicamente prova a contrastare le tendenze in atto e che, nel caso specifico, malsopporta che lo Stato possegga ben la metà dell’Oregon (in Nevada si arriva fino all’85 per cento) e interferisca sempre più con le attività dei privati. Da qui le frequenti tensioni tra allevatori e funzionari. Come ha scritto l’economista Thomas DiLorenzo, gli “antagonisti” dell’estremo Nord-Ovest hanno simbolicamente “occupato una baracca vuota in Oregon per protestare contro la politica governativa e contro il socialismo della regolazione del territorio”.
Le pallottole che hanno posto fine alla vita di LaVoy Finicum ci dicono però che oggi gli Stati Uniti sono un paese in cui il diritto di resistenza è riconosciuto solo a taluni. E in effetti quattro anni fa i militanti di Occupy Wall Street non stavano nel gelo di uno sperduto villaggio dell’Oregon, ma nel centro di New York: eppure non finirono nel mirino dell’Fbi e anzi diventarono qualcosa di molto à la page, anche grazie al loro evocare i vecchi cascami del socialismo novecentesco. Il cow-boy mormone con 11 figli e 19 nipoti, invece, non merita il rispetto dei media neppure ora che è stato ucciso da un poliziotto. Una parte della spiegazione di questo ben diverso trattamento sta nel fatto che gli anti-globalizzazione non disturbano il manovratore e magari (senza volerlo e senza saperlo) sono perfino funzionali alle ambizioni di un ceto politico che vuole ampliare sempre più i propri poteri.
[**Video_box_2**]C’è una formula che, fin da bambini, abbiamo sentito ripetere nei film d’oltre Atlantico: “siamo in un Paese libero”. Ogni volta che era in discussione la possibilità di riconoscere l’autonomia dell’individuo, l’americano riaffermava implicitamente che le sue istituzioni sono nate con una Dichiarazione d’Indipendenza la quale ha dissolto il potere britannico senza sostituirlo con uno nuovo. Quando poi si sono dotati di un governo gli statunitensi hanno cercato, sulla scorta della lezione di John Locke, di dare vita a istituzioni essenzialmente chiamate a proteggere la persona e le sue articolazioni sociali. Niente di più.
L’America odierna che spara a semplici contadini schierati a difesa della proprietà e dell’autogoverno, però, è un’altra cosa: sempre più simile a quell’Europa da cui cercò di allontanarsi.