Obama imbocca un finale di mandato guerresco in Iraq e Libia
Roma. Il presidente americano, Barack Obama, imbocca un finale di presidenza anomalo. A meno di nove mesi dalle elezioni di novembre, quando ormai il tempo rimasto per intraprendere iniziative in politica estera si è assottigliato troppo, Obama aumenta la presenza militare americana in medio oriente e in generale contro lo Stato islamico – cambiando rotta rispetto al passato recente. Ora che ha ottenuto l’accordo storico con l’Iran sul programma nucleare – che lui spera rappresenterà la sua eredità in politica estera per gli anni a venire, quindi l’evento per cui sarà ricordato – è costretto ad affrontare le contingenze, prima su tutte il terrorismo. Giovedì ha incontrato i suoi consiglieri per la sicurezza nazionale per decidere come “fermare l’espansione dello Stato islamico in Libia”, secondo il resoconto che fa Reuters. Nelle settimane precedenti, dice il New York Times senza offrire una data precisa, c’è stata una riunione uguale per discutere la situazione in Iraq, ed è stata decisa un’altra mini escalation delle forze americane: centinaia di istruttori, consiglieri e forze speciali in più saranno mandati in Iraq per accelerare la guerra contro lo Stato islamico. Nell’estate 2014 i soldati americani mandati in fretta in Iraq, all’apice dell’offensiva dello Stato islamico, erano circa 300. Adesso sono 3.700 e diventeranno 4.500, quindi circa un decimo rispetto ai cinquantamila che furono lasciati nel paese tra l’agosto 2010, quando Obama ordinò un ritiro parziale delle truppe – parziale per mantenere un minimo di sicurezza nell’ambito dell’operazione “Nuova Alba” – e il dicembre 2011, quando avvenne il ritiro definitivo. Adesso a ogni nuova rotazione c’è un aumento di soldati.
Ieri il segretario alla Difesa, Ashton Carter, ha detto che il Pentagono spinge perché sia Raqqa sia Mosul, le due capitali dello Stato islamico in Siria e in Iraq, siano riprese entro la fine dell’anno. “L’ordine – ha detto in un’intervista alla radio Npr – arriva direttamente dal presidente Obama”. Si tratta di una scadenza incredibilmente ambiziosa. Nel 2015 i piani per riprendere Mosul sono finiti nel cestino a maggio, quando lo Stato islamico ha preso la città di Ramadi, riportando indietro il calendario delle operazioni di un intervallo di tempo indefinito. Ora che Ramadi è stata quasi ripresa, l’intenzione di arrivare a Mosul nel 2016 potrebbe essere meno irrealistica – dove il “quasi” riferito a Ramadi è dovuto al fatto che la città è un deserto di edifici distrutti ed è ancora contesa tra l’esercito iracheno e squadre fantasma di guerriglieri islamisti.
[**Video_box_2**]Questa accelerazione di fine mandato si nota sul campo. Dal Kurdistan iracheno arrivano sempre più testimonianze – e prove video – a proposito di operazioni delle forze speciali americane che preparano l’approccio a Mosul. Dalla Siria la settimana scorsa è arrivata la notizia dell’ampliamento della base di Rumailan, in area curda – adesso sarà in grado di far atterrare grossi aerei da carico americani, poco a nord di Raqqa. In Libia l’Amministrazione è decisa ad agire contro lo Stato islamico “entro poche settimane” ma in coordinamento con altri, Italia e Francia in testa. Mercoledì il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha spiegato che (come si sapeva già) alcuni soldati delle forze speciali americane sono già in Libia per prendere contatto con le fazioni governative locali. Washington potrebbe essere anticipata in Libia da altri governi che si muovono in maniera autonoma: si moltiplicano gli avvistamenti di droni sul territorio dello Stato islamico e si parla, senza conferme definitive, di operazioni dell’aviazione francese, da sola o assieme all’Egitto.
L'editoriale dell'elefantino