Follow the money
Milano. In questa pazza corsa presidenziale d’America, iniziata ieri con i caucus in Iowa, non si è parlato molto di soldi. Noi eravamo troppo distratti (atterriti o divertiti, a seconda dei momenti), i candidati hanno fatto spesso i superiori: il repubblicano Donald Trump dice ai suoi sostenitori di non aver bisogno di donazioni, sono ricco di mio grazie molte (anche se sul sito il tasto “donate” è bello grosso); il democratico Bernie Sanders sostiene fiero: “Il mio principale SuperPac ha raccolto zero fondi”, dimostrazione esemplare della sua ossessione anticapitalista (anche se un SuperPac formato da associazioni sindacaliste che sostengono il senatore del Vermont ha raccolto uno straordinario bottino di 2,2 milioni di dollari negli ultimi sei mesi del 2015). I soldi però contano, e i giornali americani fanno le classifiche sulla “money race”, raccontano chi sono i principali contribuenti e i candidati con i tesoretti più corposi, dividendo i candidati – come ha fatto Politico – tra chi ha fondi per continuare la corsa con una certa vitalità e chi deve ottenere risultati subito altrimenti rischia di dover dichiare bancarotta.
La Federal Electoral Commission ha pubblicato domenica i dati sui SuperPac – le organizzazioni di raccolta fondi che fanno campagna per un candidato e soprattutto contro gli altri avversari senza ufficialmente avere mai contatti con il candidato stesso – che rivelano alcune tendenze: gli storici big donors dei repubblicani stanno cercando di ostacolare l’ascesa di Trump dando finanziamenti ai candidati moderati, e Ted Cruz sta andando fortissimo, soprattutto negli ultimi tre mesi, grazie ai contributi di finanziatori “non tradizionali” del Partito repubblicano.
I finanziatori che ancora sperano in una rivolta moderata preferiscono, al momento, più Marco Rubio che Jeb Bush – il derby della Florida, che fin da subito pareva fratricida, conferma la sua anima cannibale. Un SuperPac legato a Rubio, scrive il New York Times, ha raccolto negli ultimi sei mesi 14,3 milioni di dollari, elargiti in parte da ex finanziatori di Jeb, il quale in totale ha però raccolto il doppio dei fondi di Rubio: 155,6 milioni di dollari vs 77,2 milioni, ma ne ha spesi tantissimi, senza aver ancora ottenuto qualche riscontro degno di nota, a differenza di Rubio.
L’altra tendenza nel campo repubblicano è l’aumento dei fondi a favore del conservatorissimo texano Ted Cruz, che raccoglie consensi anche al di fuori dei tradizionali contribuenti e anche al di fuori del mondo repubblicano: questi finanziatori sostengono il conservatorismo anti Washington di Cruz in chiave anti Trump, sì, ma anche in chiave anti establishment, qualsiasi cosa significhi oggi “establishment” nel Partito repubblicano. Mitica è la figura di Mica Mosbacher, biondissima filantropa texana da sempre sostenitrice dei Bush che ora è passata con Cruz perché è stanca di “moderati e di politici in carriera”: “C’è una guerra civile dentro al partito – ha detto – La gente vuole uno forte”.
[**Video_box_2**]Sul lato dei democratici, si sa che Hillary Clinton è la più ricca e la più strutturata. Ma Bernie Sanders sta cercando di replicare il “miracolo obamiano” (tra le risatine degli obamiani) su due fronti: conquistare il voto dei giovani e ottenere tanti piccoli contributi, che dimostrino come la politica possa essere slegata dai grandi contribuenti ed essere ugualmente di successo. I giovani stanno assecondando le aspettative, si sentono rassicurati da questo vecchietto retrò più che da Hillary (la quale perde anche consensi tra le donne, e questo con tutta la movimentazione femminile che ha messo in piedi è grave), e anche i contributi seguono questo andamento anti élite. Sanders ha raccolto 33,6 milioni di dollari negli ultimi tre mesi del 2015: per il 70 per cento, ogni contribuente dà meno di 200 dollari (vi ricordate i cinque dollari che davano anche i più poveri per Obama, giusto per dire: ci sono anch’io?), soltanto 372 sostenitori hanno dato il massimo concesso, 2.700 dollari. A gennaio, Sanders ha raccolto altri 20 milioni di dollari, il capo della sua campagna dice che di questo passo si può battere Hillary anche sui soldi, soprattutto la si batte sulla mobilitazione: la maggior parte di contributi di questi ultimi 20 milioni è stata fatta online, e ogni contributo vale in media 27 dollari.