Il gioiellino Tiffany dell'establishment
La confusione orchestrata dagli stessi americani sulle loro elezioni primarie per la presidenza, dopo otto anni di ordine cristallino intorno al nullismo di Obama, induce a smentire tutto. I sondaggi valgono poco, predicono il contrario di quanto avviene (danno cinque punti di distacco a Trump su Cruz e risulta vero l’opposto in Iowa). Ora apprendiamo che il vincitore in Iowa però non è il texano Cruz, ma Marco Rubio, il senatore della Florida che è arrivato terzo appaiando praticamente Trump con un piccolo svantaggio. Va bene, ognuno se la calcola come crede, e sul fattore Rubio, il candidato che unifica con la sua baby face, con il suo ottimismo, con il suo essere un duro ma non un tea-partier, molte cose sono vere fino a prova contraria. Speriamo bene. Ma la più divertente delle controverità, che solo una sensibilità mondana può discernere, è che Trump, prosegua la sua corsa o no e in quali condizioni non si sa, non è un campione della rivolta contro l’establishment. Sono balle. Trump è il gioiellino Tiffany dell’establishment, il suo lussuoso carnevale, come devono avere intuito gli agricoltori del piccolo stato dove le primarie sempre cominciano. Trump non spaventa i Guardians, il ceto storico delle università Ivy League, dei media, degli editori, del mondo della cultura e dello spettacolo, né l’America di Wall Street, che poi è una strada newyorchese, la città di Trump.
Maureen Dowd è una columnist coi fiocchi del New York Times, il giornalone liberal della città che non dorme mai. E’ brava, attraente, sofisticata e spiritosa, ed è anche molto molto cattiva, sa come assestare i colpi. La Dowd ha passato gli ultimi anni a dare la baia ai Cheney, ai Rumsfeld e ai George W. Bush, a John Bolton, a qualunque cosa avesse il sapore del neoconservatorismo americano: quei poteri riemersi con la vittoria di W. non erano sufficientemente established, nessuno era passato per il salotto di Kofi Annan, erano gente che magari andava a caccia, e al di là di ombre e oscurità potenzialmente autoritarie si stagliava la perfetta stupidità del politico sradicato, senza tradizione e cultura civile. Anche sulle questioni di costume Maureen, premio Pulitzer per il commento e premio Glamour Usa, sa sempre costruire come una fortezza, dalla quale lanciare frecce avvelenate, il perimetro ideologico della sua predicazione corsivistica. Non sbaglia un colpo. La sua specialità è individuare i nemici, e picchiare. Naturalmente in nome dell’establishment, del suo gusto, delle sue idiosincrasie, del suo idioma: lei è la Guardiana dei Guardiani.
[**Video_box_2**]L’altro giorno butto l’occhio su un suo pezzo. Titolo ambiguamente ruffiano: “Here’s the Beauty of Trump”. Ironico, direte. Ma sapete cosa? Questo profeta belluino della rivolta contro l’establishment, questo pericoloso rivoluzionario e nemico di sistema, questo Savonarola dei blue collars, risponde da vecchio amico del jet set alla chiamata di Maureen, e lei esordisce riferendo la sua parte bella, le mani avanti: provoco tutto questo casino perché ora mi serve, ma al momento giusto potrò farne a meno. La Dowd non si scatena contro il suo sessismo, contro le sue tirate sulle mestruazioni di una giornalista della Fox, non lo impicca alla sua couture, non lo tratta da insulso schiaffeggiatore di leoni, no, la telefonata scorre via che è una meraviglia, è una chiacchiera sorniona tra due amiconi, e alla fine ne fa le spese il commentatore conservatore Charles Krauthammer, quello sì un uomo dell’establishment detestato all’unisono da the Donald e the Maureen: è uno stronzo, dice Trump al suo critico, e la sventurata riferì senza muovere un sopracciglio.
Ecco. Tra le varie scemenze in fatto di primarie americane, tenete conto di questa, che è quella madornale. Trump è prima di tutto un fake, un falso repubblicano, un falso conservatore, un falso bestemmiatore di valori costituiti, un profeta del glamour kitsch newyorchese e delle sue amabili Guardiane, che lo conoscono come uno di casa, lo stimano perché billionaire scaltro e svampito, lo prediligono a quei cafoni di texani e al giovane immigrato cubano venuto dalla Florida.