Lo specialista del fango dietro la campagna di Ted Cruz
Per vincere in Iowa la campagna di Ted Cruz non ha solo macinato dati, estratto profili e studiato strategie data-driven, per rammentare al paese che anche i populisti con gli stivali sanno maneggiare gli algoritmi, ma ha usato quelli che Ben Carson ha generosamente chiamato “sporchi trucchi”. Ad esempio ha inoltrato a tutti i suoi sostenitori un articolo della Cnn, maliziosamente rititolato, in cui si diceva che Carson non sarebbe andato a fare campagna New Hampshire, cosa che suggeriva il suo ritiro immediato.
L’avversario ha vigorosamente smentito, e ieri il vincitore dell’Iowa si è scusato pubblicamente. Ma non per aver messo in giro la voce falsa, quanto per essersi “dimenticato” di inoltrare ai suoi la dichiarazione in cui Carson chiariva le cose. Le lettere con cui ha minacciato gli elettori di aver commesso una “voting violation” sono già nella leggenda. Buste rosse con loghi che sembrano ufficiali, pagine che somigliano a multe dove si parla di inesistenti penalità su inesistenti punteggi attribuite agli elettori che disertano il caucus.
Quando il procuratore generale dello stato ha condannato queste minacciose tattiche per trascinare la gente al voto, Cruz ha detto: “Non mi scuserò mai con nessuno per aver cercato di aumentare l’affluenza”. Il senatore sa bene quanto possono essere abrasive ed efficaci questo tipo di comunicazioni politiche. Qualche anno fa si è imbestialito quando a casa di suo padre è arrivata una busta in cui Ted, allora in corsa per il Senato, era raffigurato come “un avvocato di Washington” che “rappresenta compagnie cinesi”, con tanto di bandiera Rossa sullo sfondo. Slogan: “Ted Cruz: distrugge posti di lavoro in America, inganna i texani”. L’autore di quel volantino calunnioso era un consulente di nome Jeff Roe, titolare di un’agenzia di comunicazione di Kansas City. Appena ne ha avuto l’occasione, Cruz lo ha assunto, e ora è il manager della sua campagna elettorale.
Roe è ambizioso e senza scrupoli almeno quanto il suo capo. Lo hanno chiamato il nuovo Karl Rove, il nuovo David Axelrod, addirittura è stato paragonato a Lee Atwater, il leggendario consigliere di Reagan e Bush che diceva: “Non ho inventato la campagna negativa, ma sono uno dei suoi più ardenti praticanti”. La sua filosofia muove discende dal più cruziano degli assiomi: per vincere non bisogna trascinare al voto gli indecisi, ma caricare la base.
Con la sua Axiom Strategies, Roe ha ridicolizzato e smontato politici in giro per il Midwest, paragonandoli al Padrino oppure inventando personaggi fittizi tipo “Tax Man”, il supereroe che impone tasse su qualunque cosa. Per conto di un deputato suo cliente ha concepito uno spot televisivo in cui l’avversaria, in posa suggestiva, aveva lo sguardo coperto da tre X. L’accusa per nulla velata di essere un’attrice pornografica veniva dal fatto che la vittima, Sara Jo Shettles, aveva lavorato in un’agenzia che aveva fatto alcune pubblicità per la rivista Penthouse. Jo Shettles a quel punto aveva 63 anni ed era costretta su una sedia a rotelle. E non aveva la minima speranza di battere il deputato per cui Roe lavorava.
L’episodio più noto della carriera di Roe nella comunicazione politica risale allo scorso anno, quando ha preso in carico la campagna della repubblicana Catherine Hanaway per le primarie per il posto da governatore del Missouri. L’avversario si chiamava Tom Schweich, personaggio noto nel partito repubblicano locale e figura filiforme per via di una particolare malattia. Per un certo periodo è circolato nello stato uno spot radiofonico che lo prendeva in giro proprio per l’aspetto fisico, paragonandolo in modo non proprio lusinghiero a un personaggio comico degli anni Sessanta.
[**Video_box_2**]Lo spot era stato formalmente prodotto da un’associazione di esercenti chiamata “Citizens for Fairness”, ma era stato commissionato e pagato da Roe, come ha ammesso lui stesso. In un altro messaggio elettorale veniva chiamato scarafaggio. Inoltre, Schweich sosteneva che i suoi nemici all’interno del partito avessero messo in giro la voce che fosse ebreo, accusa efficace presso certi ambienti dove resistono pulsioni antisemite. Roe e i suoi soci hanno sempre negato di aver diffuso questi rumors. Ad alcuni amici aveva confidato quanto queste calunnie lo avessero precipitato in uno stato di fragilità e depressione.
A febbraio dello scorso anno Schweich si è suicidato. L’ex senatore John Danforth, amico della vittima e pastore episcopaliano che ha officiato il funerale, dal pulpito ha detto: “Le parole possono uccidere”. Non ha citato Roe per nome, ma tutti hanno afferrato il messaggio. Quando si è sollevata una campagna nel Missouri per screditare questo specialista del fango – un editorialista del Kansas City Star ha invitato i lettori a non votare i suoi clienti per punire lui – tutti i suoi protettori politici hanno fatto quadrato, minimizzando, dicendo così fan tutti, esattamente quel che dice Cruz ogni giorno quando da un palco denuncia il cartello mafioso di Washington.