La marcia per il potere di Sánchez tra i capricci dei populisti
Roma. Felipe VI, il re spagnolo, martedì ha chiuso la più grande crisi costituzionale della Spagna repubblicana per aprire una crisi politica che potrebbe avere dimensioni ancora più gravi. Il re ha scelto il leader socialista Pedro Sánchez come premier designato per la formazione del prossimo governo, unica scelta logica per uscire da un’empasse che durava dal 20 dicembre, visto che il premier uscente e facente funzioni, Mariano Rajoy del Partito popolare (Pp), ha vinto le elezioni ma non ha i numeri né gli appoggi per formare nemmeno un esecutivo di minoranza. Sánchez ha accettato l’incarico, mettendo in moto la macchina costituzionale che porterà al voto di fiducia, ma al momento di stringersi la mano né lui, né il re né nessun altro avevano in testa un piano preciso. Il leader del Partito socialista (Psoe) ha chiesto una quantità di tempo lunghissima e ai limiti del protocollo prima del voto di fiducia: circa un mese, quando i suoi predecessori avevano avuto bisogno di non più di dieci giorni. Quattro settimane per completare quello che il Mundo, non certo il giornale della destra radicale, ha definito un “negoziato disperato”.
Sánchez è sicuro solo di una cosa: non governerà con il Pp, come da tempo gli chiedono Rajoy e la comunità imprenditoriale, e il giornale conservatore Abc ha contato ben diciassette volte in cui ha ribadito il suo no all’ex premier nelle settimane dopo le elezioni. Tutto il resto è parte di un negoziato indefinito in cui le intransigenze dei due partiti emergenti, l’antisistema Podemos e il centrista Ciudadanos, la fanno da padrone. Intransigenze differenti da quelle elettorali, però. Perché se in precedenza, cavalcando la “retorica della rigenerazione”, tanto Pablo Iglesias di Podemos quanto Albert Rivera di Ciudadanos giuravano e spergiuravano che per nessuna ragione al mondo avrebbero offerto il loro appoggio ai socialisti o ai popolari, che farlo avrebbe snaturato il loro messaggio di rinnovamento e li avrebbe privati della loro stessa ragion d’essere, adesso entrambi suonano un’altra musica. Ora che la condivisione del potere con i corrotti e obsoleti partiti tradizionali è a portata di mano, e che entrambi, Iglesias e Rivera, possono rivelarsi a loro modo indispensabili per il futuro governo, le alleanze non sembrano più così contro natura, il messaggio di rinnovamento può essere piegato a nuove esigenze, tanto che tutti adesso sembrano volenterosamente pronti a snaturarsi per un posto alla Moncloa, il palazzo presidenziale. Le intransigenze legate ai princìpi sono spazzate via per fare spazio alle richieste negoziali, e in questo il voltafaccia più clamoroso è quello di Podemos, il cui leader Iglesias ha iniziato già dieci giorni fa a dettare le sue condizioni (“non negoziabili”) a Sánchez, che comprendono un posto nel governo per sé e per i suoi sodali, un’agenda politica vicino ai desiderata degli antisistema e nessuna alleanza con Ciudadanos. La voglia di una poltrona è tanta che martedì la sezione di Podemos a Saragozza ha tuittato per sbaglio uno schema di governo a sinistra con i giovani leader populisti nei posti chiave. Governare richiede compromessi, e gli ex intransigenti di Podemos non solo sembrano aver appreso la lezione, ma sono ansiosi di metterla in pratica.
[**Video_box_2**]Sánchez ha detto ieri di voler guardare “a destra e a sinistra” per la formazione del suo governo, segno che per lui un’alleanza che comprenda sia Podemos sia Ciudadanos sarebbe l’opzione migliore. I due partiti per ora alzano le barricate l’uno contro l’altro e Sánchez potrebbe ricorrere all’ammucchiata a sinistra, un governo fragilissimo con Podemos, i partitini della sinistra intransigente e quelli indipendentisti catalano e basco. E’ l’opzione più probabile ma anche quella con più possibilità di fallire. A partire da Rajoy, che è in ritirata tattica, i nemici e perfino gli amici stanno aspettando il probabile fallimento, nei negoziati o nel governo, di Pedro Sánchez. Il re lo sa, e la scelta del socialista ha un doppio scopo: iniziare i negoziati e sbloccare il countdown per le nuove elezioni, che inizia dalla designazione del candidato.