Meno ragazzo prodigio e più ottimismo. Così Rubio salva il sogno americano
Basterà poco per capire se Marco Rubio, con indosso la divisa del designato, avrà ballato una sola settimana o se la sua è una storia destinata a durare. Le primarie del New Hampshire sono cruciali, perché se è vero che in Iowa è stato un “ottimo terzo”, è pur vero che Ted Cruz sta affilando le armi forte dell’inatteso successo e Donald Trump non può ingoiare una seconda disfatta, con tutti i soldi che ci spende. Il problema di Marco è passare, nel giro di poche ore, da “interessante promessa moderata”, che è una medaglietta di consolazione, a “contendente credibile”, acquisendone lo status e gli strumenti di sostentamento. Soldi e fiducia. I primi arriverebbero – da Wall Street e dai supporter delusi dagli altri candidati – nel caso al secondo giro Rubio espanda i livelli di gradimento e rafforzi la prospettiva secondo cui, nel duello finale, è lui, tra i repubblicani, quello con più chance di battere l’avversario democratico, Hillary inclusa. Perciò, navigando a vista, Rubio deve ora convincere i conservatori del New Hampshire, un elettorato più eclettico e meno evangelico dell’Iowa e con una predisposizione verso un politico sensato, deciso, senza eccessi. Ma il senatore della Florida non può vincere solo approfittando delle falle degli avversari, uno che le spara grosse e l’altro credibile quanto una moneta da 2 dollari. Per diventare il primo latino che si batte contro la prima donna, per strappare i voti degli indecisi ispanici al tradizionale orientamento democratico, insomma per entrare nel solco innovativo dei presidenti versione XXI secolo, deve esprimere un valore personale intenso e che profumi di presidenzialità, scrollandosi di dosso le accuse dei suoi stessi compagni di partito, che gli danno di “baby boy” per sottolinearne l’inesperienza.
Basta col volenteroso ragazzo-prodigio, quando si parla di Stato islamico, immigrazione, sanità ed economia, e spazio a un ottimismo privo di catastrofismo – che invece è il timbro prediletto da Cruz e Trump. Un atteggiamento più inclusivo, sul modello dell’Obama del 2008, contando sul fatto che il 68 per cento dell’elettorato repubblicano dice che non c’è niente di male se il prossimo presidente sarà figlio di immigrati cubani. Energia e orgoglio di una diversità che ogni giorno di più è materia prima americana. Poi molto football (ha giocato a livello universitario), virtuosistico equilibrismo sull’utilizzo dello spagnolo e sulla gestione degli immigrati clandestini, tanto libero mercato e soprattutto l’incarnazione del sogno: benvenuti in America, nazione dove uno come lui, venuto dal nulla, a colpi di energia può arrivare sulla cima delle cime. L’hanno preso in giro per la volta in cui, incaricato di pronunciare la risposta allo Stato dell’Unione nel 2012, in preda all’emozione non riuscì ad andare avanti, fin quando non bevve avidamente un bicchier d’acqua. Una debolezza, inquadrata dalle telecamere. Ma anche il momento d’umanità di un giovane politico che si sta facendo le ossa. Non è il titolo di “candidato dell’establishment” che porterà Rubio verso la Casa Bianca. E’ il suo apparire per ciò che forse è: uno che ci crede e che ci sta provando con tutte le sue forze.