Cos'è la “delazione premiata”, la nuova arma della Mani pulite brasiliana

Angela Nocioni
Il paese sudamericano è in piena Tangentopoli. Giudici osannati come eroi popolari, imputati messi alla gogna ancora prima dell’inizio del processo, giustizialismo che impazza

Rio de Janeiro. Ci si scanna sull’uso dei collaboratori di giustizia in Brasile. Avvocati scatenati. Pm inferociti. Un lettera pubblica firmata da 150 grandi avvocati brasiliani denuncia “metodi da Inquisizione” nella principale inchiesta di corruzione in corso nel paese e richiama “con urgenza il potere giudiziario” a “una postura rigorosa di rispetto e di osservanza delle leggi e della Costituzione”. Volano randellate tra professionisti della difesa e professionisti della pubblica accusa. Come si devono usare le dichiarazioni di chi accusa qualcun altro in un’inchiesta? E soprattutto: cosa è legittimo fare per ottenerle? Il dibattito pubblico è infiammato da queste due domande. 

 

Il Brasile è in piena Tangentopoli. L’aria che si respira da qualche tempo è molto simile a quella che tirava in Italia durante Mani pulite. Giudici osannati come eroi popolari, imputati messi alla gogna ancora prima dell’inizio del processo, giustizialismo che impazza. Con tanti saluti per il rispetto del principio della presunzione d’innocenza dell’accusato.

 

L’operação Lava-Jato, l’inchiesta sui sovrapprezzi pagati dalle imprese per ottenere appalti da Petrobrás, l’azienda pubblica del petrolio, è una mitragliatrice di arresti spettacolari e notizie riservate che finiscono sparate sui tg della sera. Una delle ipotesi investigative è che le imprese dell’indotto Petrobrás abbiano pagato almeno 2 miliardi e mezzo di euro per finanziare le campagne elettorali.

 

L’inchiesta – che accusa politici del Pt, il partito della presidente Dilma Rousseff, ma anche esponenti degli altri principali partiti e che ha già sbattuto in galera un banchiere e i tre principali imprenditori brasiliani tra cui il presidente della Odebrecht, Marcelo Odebrecht, grande amico dell’ex presidente Lula – è basata sulle dichiarazioni di arrestati che accettano di collaborare con gli inquirenti spiegando quello che qui chiamano “lo schema”, il meccanismo della corruzione. Sostanzialmente la collaborazione consiste nell’indicare il nome di un presunto corrotto. Che non viene mai trattato come tale, ma finisce sbattuto in prima pagina come fosse un reo confesso. Nelle edicole campeggiano doppie pagine illustrate con un domino di facce di potenti messi alla berlina. “Paulo ha denunciato Alberto, che ha denunciato Julio, che ha denunciato Augusto, che ha denunciato Pedro, che ha denunciato Joao che non ha ancora denunciato nessuno”, è l’attacco di un pezzo illustrato sulla Folha de S. Paulo.

 

La legge prevede una serie di benefici per chi collabora, incluso lo sconto di pena. Delações premiadas (delazioni premiate) si chiamano in linguaggio giuridico le dichiarazioni di chi collabora.

 

Gli avvocati brasiliani sostengono che l’uso delle delações premiadas in quest’inchiesta avvenga sistematicamente al di fuori e al di sopra delle leggi. E che sia scomparso in Brasile il rispetto dell’habeas corpus. Scrivono che “la prigione preventiva è usata per forzare la chiusura degli accordi di collaborazione”. “Un giorno delle persone sono incarcerate per la forza di decisioni che affermano l’imprescindibilità della detenzione, dato che, se messe in libertà, queste persone rappresenterebbero un gravissimo rischio all’ordine pubblico. Il giorno dopo le stesse persone firmano un accordo di delação premiada e sono rimesse in libertà. Di colpo, con una bacchetta magica, tutta l’imprescindibilità della loro detenzione svanisce”.

 

Gli avvocati non dicono che c’è stata qualche forzatura sull’uso dei collaboratori da parte degli inquirenti. Dicono che c’è un sistematico abuso di potere. “E’ inconcepibile – scrivono nella lettera – che a condurre un processo sia un giudice che si comporta con parzialità. Non c’è processo giusto quando il giudice della causa esterna il suo convincimento riguardo la colpevolezza dell’accusato”. Parlano di attentato alla democrazia, di “stato di diritto sotto minaccia”.

 

La lettera, che tra i firmatari ha alcuni difensori di accusati nella Lava Jato, parla esplicitamente dell’inchiesta in corso. “Per quanto riguarda la violazione dei diritti e le garanzie degli imputati – vi si legge – la Lava-Jato già occupa un posto importante nella storia del paese. Mai c’è stato un caso penale con una così sistematica violazione delle regole minime del giusto processo nei confronti di un numero tanto alto di accusati. Non viene rispettato il principio di presunzione di innocenza, il principio del giudice naturale, vengono selezionati e fatti uscire documenti e informazioni segreti. Quello che si è visto negli ultimi tempi è una sorta di Inquisizione, una neo Inquisizione, nella quale già si sa, prima dell’inizio dei processi, come si concluderanno. Le tappe processuali tra la denuncia e la sentenza servono solo a compiere indesiderabili formalità”.

 

L’Associazione nazionale dei procuratori della Repubblica ha risposto che le accuse sono imprecise, che la lettera “contravviene al principio che vieta accuse generiche”. I giudici federali, tramite la loro associazione, si difendono: “Stiamo svolgendo un lavoro esemplare e imparziale, senza dare un trattamento di favore ad accusati che dispongono delle risorse necessarie per contrattare i migliori avvocati del paese”. I magistrati rivendicano che la maggior parte dei contratti di collaborazione firmata finora è stata sottoscritta da persone che non sono passate dal carcere. L’ovvia obiezione per cui la promessa di una mancata detenzione possa far parte degli strumenti indebiti di pressione non fa breccia in un’opinione pubblica incattivita dalla crisi economica e affamata di giustizia spettacolo.

 

[**Video_box_2**]Ciò nonostante la denuncia degli avvocati ha grande eco. I giornali continuano a pubblicare da giorni pagine di reazioni e di commenti alla loro denuncia. Una delle obiezioni più comuni a quella che viene percepita come una protesta di casta è uscita su O Globo, in una colonna dell’editorialista Merval Pereira. “Di certo – scrive Pereira – tutti i discorsi su una presunzione di innocenza astratta che non fanno i conti con l’analisi probatoria, molto semplicemente, non hanno più la stessa forza di un tempo di fronte a delazioni premiate accompagnate da prove robuste”.

Di più su questi argomenti: