Come si dice TINA in italiano
La famosa lettera della Bce è del 5 agosto 2011. La meno celebre lettera dei banchieri centrali di Francia e Germania è di qualche giorno fa. Quando l’Italia sbarella o si mette di mezzo, opportune et inopportune, i banchieri scrivono. Se Berlusconi va sotto spread e gli si rompono le alleanze in Parlamento, scrivono. Se Renzi abbassa le tasse e si consuma il profilo di irresistibile novità del suo governo nelle Camere, nei gabinetti della Commissione di Bruxelles e nei media, scrivono. Le leggi di stabilità vanno in pressione, i numeri della finanza pubblica diventano torri semoventi appoggiate per l’assalto alle mura della città. Chiamiamolo “il sistema postale”. La “governance postale d’Europa”.
Dopo un interregno tecnocratico concordato per via epistolare da Napolitano e Draghi (Monti, Letta Jr. dal 2011 al 2014), con l’assenso di Berlusconi e Bersani, abbiamo a Roma da un paio d’anni di nuovo un governo non tecnico ma politico. Il precedente esecutivo, destinatario della prima lettera, si fondava su una coalizione uscita vincitrice dalle urne ma in via di dissoluzione parlamentare; ora è in atto un tentativo di leadership che fa leva sulla legittimazione parlamentare dopo uno stallo postelettorale, sul ricambio generazionale, su elezioni europee, su un patto fondativo di coalizione nazionale per le riforme andato in porto (il Nazareno), sull’attivismo iperenergetico e la comunicazione per il consenso. L’Italia nell’Unione fa comunque problema, una volta perché è troppo debole (agosto 2011) una volta perché è in cauta ripresa (febbraio 2016), e sempre fa problema non a causa della sua situazione economica o finanziaria, bensì per ragioni politiche.
La prima lettera era chiara, ed è stata in parte recepita dal destinatario, sia nella fase tecnocratica sia in quella politica recente. Il suo scopo era di varare una fase tecnocratica, di depoliticizzazione della democrazia, per curare un’emergenza e fare un esperimento di riforme per la competitività economica e per la cura del debito pubblico. La seconda lettera è oscura nella sua formulazione anche secondo il suo esegeta ed anticipatore, Eugenio Scalfari. (Scalfari è l’uomo che raccoglieva i sussurri dei banchieri centrali. Li raccoglie in verità da mezzo secolo, dall’epoca di Bancor ovvero Guido Carli, famoso rubrichista dell’Espresso e, come capo di Bankitalia e poi ministro del Tesoro, collega di Emilio Colombo, Pomicino e Andreotti nella gestione del debito pubblico.) La seconda lettera dei banchieri di Parigi e Francoforte minaccia un ministro del Tesoro europeo privo di definizione esauriente e di senso politico chiaro, in cui credono e non credono per primi Francia e Germania, e propone in alternativa (a quanto sembra) un rilancio in grande stile, senza mutualizzazione o condivisione dei gravami finanziari, senza misure di deciso rilancio della crescita economica, senza alcuna flessibilità di finanza pubblica, delle regole della cosiddetta austerità di bilancio. Ma qui ci fermiamo. Ci fermiamo a questa minacciosa oscurità oracolare che traduce sussurri. Infatti lo scopo politico della seconda lettera è ancora meno chiaro del suo assunto istituzionale (il Tesoro unico europeo: ma dove? ma quando? ma come?). Vogliono svellere il governo Renzi, troppo petulante e autonomo, troppo avido di flessibilità, troppo spendaccione, e sostituirlo con una nuova fase di reggimento tecnocratico del paese? O hanno in mente una combinazione politica alternativa e convincente di qui alle elezioni del 2018? Pensano che siano, l’una o l’altra, una prospettiva realistica?
[**Video_box_2**]Non credo. Fosse vero che vogliono far saltare la legge di stabilità e far scattare clausole di salvaguardia, insomma piegare ai parametri di Maastricht usati da energumeni gli sforzi per la ripresa e le riforme in corso, allora dovremmo concluderne così: dopo aver evitato all’Italia di “finire come la Grecia”, secondo la massima di stabilità che ispirò la prima lettera, ora intenderebbero fare proprio l’opposto. Ma che la salvaguardia del progetto europeo sia improbabile quando non impossibile senza l’Italia è stato il presupposto in base al quale la Germania si è mossa dalla crisi di Atene al varo del Quantitative Easing a Francoforte (Bce). Il governo italiano non avrà alcun bisogno di rovesciare il tavolo, si limita a opporre una notevole e baldante rigidità polemica alle rigidità di comportamento istituzionale della Commissione e di guida della Cancelleria di Berlino. I soliti volponi in Italia si stanno rischierando su quello che auspicano diventi un partito pro-Europa vincente contro Renzi (basta leggere D’Alema e Prodi). Puntano di nuovo, con scarsa fantasia, su un asse tra Draghi e Napolitano benedetto da Scalfari. Ma potrebbero essere delusi a breve. Anche per Berlino e Francoforte, alle prese con Brexit e la crisi di Schengen, all’accordo con il governo italiano non c’è alternativa. TINA: there is no alternative.