Primarie d'avanspettacolo
L'uomo che trasforma il reality show di Trump in una macchina politica
New York. Dal palco della vittoria in New Hampshire, Donald Trump ha come al solito ringraziato la sua famiglia, ormai perfettamente integrata nei meccanismi della campagna, e poi, trovata irrituale, ha omaggiato Corey Lewandowski, il manager del team elettorale che ha disposto sul campo una portentosa struttura per seminare il verbo di Trump e raccogliere voti sonanti. Giusto il giorno prima gli aveva detto, scherzando fino a un certo punto, “se domani non vinciamo ‘you’re fired’”, uno degli slogan del reality show che il candidato ha mischiato con la realtà. Trump ha dato venti punti di distacco al secondo classificato, John Kasich, e poiché i voti non si contano soltanto, ma si pesano pure, è stato di conforto per il candidato sapere che ha preso consensi molto al di fuori della sua base di ultrà. Giovani e anziani, conservatori intransigenti e moderati, ricchi e meno ricchi e soprattutto i famosi indecisi che possono fare la differenza fra la vittoria e la sconfitta: il messaggio di Trump è riecheggiato trasversalmente in un elettorato mai così frammentato.
Una buona fetta del merito va attribuita a Lewandowski, che prima di essere nominato su quel palco era uno stratega chiuso nella sala macchine della politica, noto più che altro fra i trumpologi eruditi, ché in molti altri s’era instillata la naturale convinzione che Trump fosse un fenomeno totalmente spontaneo, questione di personalità, provocazione, senso del linguaggio televisivo e una pioggia di soldi, niente a che fare con gli spin doctor e le macchine politiche. Il patto elettorale del candidato populista si poggia sulla sospensione d’incredulità, la gente non deve vedere i fili che muovono il personaggio, le tecniche della vecchia politica devono scomparire, ma in Iowa Trump ha scoperto a sue spese che compiacimento e bile pagano sul palco, non alle urne. Ted Cruz aveva un’organizzazione strategica più solida, ha arruolato un esercito di pastori evangelici che hanno alimentato una campagna anti Trump, inviato lettere fuorvianti e ai limiti della legalità a tutti gli elettori, ha perfino fatto credere agli indecisi che Ben Carson si fosse ritirato, per succhiare via i suoi voti, e così ha vinto. Trump non aveva mezzi adeguati per competere, e in New Hampshire ha rimediato grazie al lavoro del 41enne Lewandowski, che viveva proprio nello stato assieme alla moglie e ai quattro figli piccoli prima di accettare di dirigere la macchina elettorale del candidato. Adesso vive al seguito del candidato, e a casa c’è tornato giusto perché era di strada: la sera i figli davano una mano a chiudere le buste con il materiale da inviare agli elettori. Lewandowski è stato stratega di campagne elettorali e lobbista, formato alla scuola severa dei fratelli Koch.
[**Video_box_2**]Ora ha il compito di razionalizzare Trump, di disporre il suo show pirotecnico in uno schema politico sensato e vincente, ruolo di sovrumana complessità che molto probabilmente vale più dei 240 mila dollari lordi l’anno che gli arrivano in tasca. Il suo motto è: “Let Trump be Trump”, occorre lasciare che il personaggio reciti liberamente se stesso, eppure fare in modo che Trump sia Trump non è questione artistica, ma fatto di scienza. In New Hampshire l’approccio scientifico di “the Donald” si è visto eccome, dagli show dal vivo che esprimevano un trash particolarmente ricercato fino alla mappatura dettagliata del territorio, con messaggi accuratamente profilati per i vari gruppi elettorali. Soltanto Kasich ha costruito una macchina più efficace a livello locale, spendendo tutti i fondi che aveva: alla fine ha preso meno della metà dei voti di Trump. Lewandowski s’è tolto anche un sassolino dalla scarpa, visto che Kasich godeva dell’appoggio dell’ex senatore John Sununu, membro di una famiglia di patrizi politici locali con i quali lo stratega aveva perso quando si occupava della campagna di uno sventurato sfidante. Tre settimane prima del voto ha licenziato il responsabile locale della campagna, che non era in pista per venti ore al giorno “come invece è il mio capo”. Il consigliere è anche l’artefice del cambio di messaggio di Trump nelle ultime settimane. Non ha abbandonato il turpiloquio, ma si sta spostando verso la parte più positiva dello spettro comunicativo, sottolineando i suoi punti di forza più che denigrare l’avversario. Quando succede – come quando ha detto “pussy” a Cruz, ripetendo l’espressione che qualcuno aveva urlato dal pubblico – Lewandowski si morde la lingua, lui che ha consigliato a Trump di eliminare dal ciclo televisivo della South Carolina alcuni spot molto duri contro Cruz, già pronti e soltanto da mandare in onda. Se l’America ormai non può non prendere sul serio Trump è anche merito del lavoro sottotraccia di un consigliere di cui Trump ha fiutato le qualità in un colloquio di pochi minuti lo scorso anno. Al Wall Street Journal il candidato lo ha elogiato per la sua “energia tremenda” e la “fantastica visione”. Poi ha ricordato la sua qualità migliore: “Il più grande candidato di sempre”.