“Chi parlerà per l'Inghilterra?”. Il Daily Mail entra nel dibattito sulla Brexit e divide il Labour
“Who will speak for England?”. Con un titolo cubitale la prima pagina del Daily Mail chiede chi parlerà a nome dell’Inghilterra, citando indirettamente il dibattito parlamentare sull’entrata in guerra nel 1939. Ue come i nazisti? Forse no, anche se…
“Who will speak for England?”. Con un titolo cubitale la prima pagina del Daily Mail chiede chi parlerà a nome dell’Inghilterra, a corredo di un editoriale incredibilmente lungo per gli standard della stampa popolare. Anche se a metà articolo rimescola le carte sostenendo che “England” significa Regno Unito, il Mail intende interrogare il lettore – specie quello occasionale e magari colto – “sul nostro destino di nazione sovrana e sulla sorte dei nostri figli e nipoti”, ritenendo che col referendum sulla Brexit “gli elettori decideranno in quale tipo di nazione vogliono vivere e far vivere chi verrà dopo di noi”. Criticando i “gattopardi euroscettici che cambiano maculazione” (cioè Boris Johnson, accusato di “fare piedino con l’uscita dall’Europa” attendendo però che Cameron gli apparecchi un ministero) l’arrabbiato tabloid di destra intende elevare un “dibattito dal livello francamente patetico”, “grottesca offesa alla democrazia britannica”. L’alternativa, spiega, non è incentrata sulle politiche comunitarie ma sul tipo di nazione che l’Inghilterra intende essere: una “nazione autogovernata” libera di controllare i propri confini o una che “sottomette sicurezza e prosperità a una burocrazia brussellese mai eletta”?
Parrà populistico, ma il titolo cela una citazione famosa abbastanza da essere colta da ogni inglese. Nella seduta parlamentare del 2 settembre 1939 il primo ministro Neville Chamberlain aveva tenuto un discorso in cui temporeggiava riguardo all’ingresso in guerra; allora, all’alzarsi del laburista Arthur Greenwood per la replica di prammatica, dai banchi della maggioranza il reduce Leo Amery gli urlò: “Speak for England!”. Ispirato, Greenwood stigmatizzò la riluttanza del primo ministro che il giorno dopo dichiarò guerra a Hitler. Il Mail lancia la bomba e nasconde la mano (“Non stiamo implicando nessun parallelismo fra i nazisti e l’Unione Europea”) ma il titolo suggerisce l’idea che se un occhialuto segaligno come Greenwood, dall’aria tutt’altro che guerrafondaia, fu in grado di farsi portavoce di tutta l’Inghilterra in un momento decisivo, oggi un politico dovrebbe avere lo stesso coraggio dinanzi a un bivio simile.
Sul New Statesman l’ex direttore Peter Wilby contrattacca argomentando che la citazione è fuori luogo: perché Amery intendeva patrocinare un’alleanza con altre nazioni europee, anziché uno splendido isolamento, e perché l’abusata frase “Speak for England” di recente era diventata lo slogan degli indipendentisti scozzesi (come a dire: “Parlate per voi, inglesi”) cui lo stesso Daily Mail si era fieramente opposto. Lo Statesman è il settimanale più vicino alle istanze sociali della sinistra, che però non è monolitica. Sul Guardian infatti il parlamentare laburista Tristram Hunt interviene in difesa delle caratteristiche dell’Englishness: non solo “paesaggio, storia, cultura, umorismo, letteratura” e gli stereotipi a cui pensiamo più o meno tutti, ma anche i moli di Liverpool, i mulini dell’agro di Manchester, perfino le ciminiere di Stoke.
[**Video_box_2**]Hunt vuole allontanarsi dai tempi in cui i laburisti neri come Bernie Grant si dichiaravano britannici anziché inglesi per rispecchiarsi “in altri popoli oppressi”, cioè scozzesi e gallesi. Al partito rimprovera di essersi vergognato di amare l’Inghilterra restando schiacciato fra il crollo dei principii unificatori del Regno Unito (protestantesimo, Impero e capitalismo industriale) e la politica globalizzante di Blair e Brown che ha allontanato le classi lavoratrici. Per Hunt i laburisti devono restituire la festa di San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, e propugnare un referendum per la costituzione di un parlamento inglese così come la devoluzione ha riconosciuto quelli di Edimburgo e Cardiff, che lavorano parallelamente all’assemblea britannica di Westminster. Non è intervenuto James Hawes, autore di un romanzo satirico sul concorrente di un reality show che un giorno si risveglia in pieno Impero retrò. S’intitola, ma va’, “Speak for England”.