Guida al rebus politico spagnolo
Mancano 15 giorni al voto di fiducia per il governo e ancora non si intravedono alleanze stabili. Una piccola guida per capire dove sono i partiti, come si posizionano i leader sullo scacchiere politico e quali sono le prospettive.
Il 2 marzo le Cortes spagnole elette il 20 dicembre scorso si riuniranno per tenere il primo voto di fiducia sul possibile governo presentato dal leader del Partito socialista (Psoe) Pedro Sánchez. Dopo che le elezioni non hanno restituito nessuna maggioranza capace di guidare il paese, rendendo necessaria, caso unico per la Spagna, la coalizione di almeno tre partiti per ottenere la maggioranza (eccezion fatta per la Grande coalizione tra Psoe e Partito popolare, Pp), i negoziati fra i partiti infuriano da settimane, ma nessuno ancora è riuscito a trovare un accordo stabile. In questa situazione difficile da sbrogliare, ecco le principali forze in campo, e le loro mosse.
Partito socialista (Psoe)
Re Felipe ha dato a Pedro Sánchez il compito di formare il governo dopo il rifiuto del premier uscente Mariano Rajoy, ma le sue possibilità di costruire una coalizione duratura non sono molto migliori di quelle del leader del Pp. Sánchez ha avuto chiara solo una cosa fin da principio: nessun accordo con i popolari, e partendo da questo muro creato alla sua destra adesso è ristretto tra l’intransigenza degli antisistema di Podemos e l’incapacità di creare un governo centrista con Ciudadanos – con questi ultimi due partiti, Podemos e Ciudadanos, che si odiano e giurano che non faranno mai alcuna alleanza tra loro. L’8 febbraio Sánchez ha proposto il suo “Programma per un governo progressista e riformista” con proposte da socialdemocrazia classica che sono state considerate troppo di sinistra da Ciudadanos e troppo timide da Podemos. Sta tutto qui il gran dilemma dei socialisti. Per formare un governo, Sánchez ha bisogno di tutti, e non è un caso che oggi abbia indetto un incontro con il leader di Podemos Pablo Iglesias “nonostante il suo atteggiamento”. Prende schiaffi, Sánchez, ma è costretto a porre l’altra guancia.
Partito popolare (Pp)
Escluso da qualsiasi possibile coalizione di governo, Mariano Rajoy e il Partito popolare hanno deciso di ritirarsi sdegnosi in attesa che gli sforzi Sánchez franino miseramente. La settimana scorsa la scenetta messa in piedi da Rajoy durante l’ultimo incontro con Sánchez, in cui il premier uscente si è rassettato la giacca incurante mentre il leader socialista cercava di stringergli la mano, dice molto della rottura definitiva tra i due partiti tradizionali spagnoli. Rajoy è ancora il premier facente funzioni, e sostiene che sarà di nuovo lui il candidato popolare in caso di nuove elezioni. Ma sotto di lui il partito si sta disgregando, colpito non tanto dalle divisioni interne ma dalle inchieste di corruzione. L’ultimo evento choc, all’inizio di questa settimana, è stato l’annuncio di dimissioni di Esperanza Aguirre, capo del Pp a Madrid e tra le figure di punta del conservatorismo spagnolo. Nelle settimane precedenti gli inquirenti avevano perquisito gli uffici del Pp di Madrid ipotizzando accuse gravi di corruzione. Aguirre si è dimessa non perché toccata personalmente dalle inchieste, ma per “responsabilità politica”, e con una mossa machiavellica, da antica rivale di Rajoy, è riuscita a ribaltare il discorso e a coinvolgere il premier facendo capire a tutti che lei stava “dando l’esempio”, come hanno scritto i giornali spagnoli il giorno successivo. Prima di Madrid le accuse avevano toccato il partito di Valencia, e a questo si aggiungono le grandi inchieste aperte da mesi.
Podemos
Pablo Iglesias si gode il suo momento di fortuna politica. Prima delle elezioni i sondaggi davano il suo partito ridotto ai minimi termini, oggi è la chiave per la formazione di qualunque governo, tanto che Iglesias ha chiesto esplicitamente la vicepresidenza del nuovo esecutivo. Lunedì il partito ha presentato il suo documento programmatico per un’alleanza di governo, che ha tra le sue linee rosse l’organizzazione di un referendum sull’indipendenza della Catalogna. E’ una richiesta irricevibile per qualsiasi partner (la leadership del Partito socialista ha vietato esplicitamente al suo leader qualsiasi patto che metta a rischio l’unità territoriale), ma appunto, Podemos si può permettere di tirare la corda perché sa che finché Sánchez si manterrà saldo nella sua chiusura al Pp lui resterà indispensabile. La sua strategia, ha scritto il giornalista Iván Gil sul Confidencial, è di trasformare il Psoe nel Pasok, il partito socialista greco rimpiazzato da sinistra da Syriza e dal suo leader Alexis Tsipras, di cui Iglesias è storico alleato. Iglesias non ha urgenza di entrare al governo in questa legislatura, può mantenere il suo messaggio intransigente e aspettare il naufragio dei socialisti.
Ciudadanos
La formazione di Albert Rivera è l’unica in tutto il panorama politico spagnolo a non aver messo un veto deciso a nessuna alleanza. Ma non ha abbastanza voti da offrire per formare un governo con uno dei due partiti tradizionali, e finora gli appelli al buon senso di Rivera sono caduti nel vuoto. Attualmente Rivera si sta comportando come un alleato di fatto di Sánchez, e l’intransigenza di Podemos sta avvicinando i due leader.
I sondaggi
L’ultimo sondaggio post elettorale è quello di Gad3 per il giornale Abc, e non depone a favore di nuove elezioni, almeno se lo si guarda dal punto di vista dei partiti tradizionali. Se si tenessero nuove elezioni adesso la frammentazione resterebbe immutata, ma l’asticella si sposterebbe un pochino di più a favore di Podemos e Ciudadanos. La formazione di Pablo Iglesias, in particolare, supererebbe in termini di voti il Psoe (non in termini di seggi parlamentari, vista la conformazione delle circoscrizioni elettorali), mentre il Pp perderebbe 12 seggi rispetto alle ultime rilevazioni di gennaio.