Il pivot asiatico azzoppato di Obama
Bangkok. "A Obama restano pochi mesi di presidenza. Questa è l’ultima possibilità di fare ciò che non gli è riuscito sinora: lasciare qualcosa per cui possa essere ricordato", dice al Foglio il dottor Thitinan Pongsudhirak, direttore dell’Institute of Security and International Studies di Bangkok. Quel qualcosa, la sua “eredità”, così come la definisce Obama, è la strategia del pivot asiatico, ossia il riposizionamento della politica estera americana in Asia. Il fulcro di questa strategia è nel rapporto con l’Asean, l’Associazione delle nazioni del sudest asiatico (Thailandia, Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar e Cambogia).
Il pivot asiatico è stato uno dei temi ricorrenti degli ultimi cinque anni della presidenza Obama, in un susseguirsi d’incontri e viaggi spesso oscurati da altri avvenimenti. E’ accaduto anche in questi giorni: la morte del giudice Scalia e il futuro della Corte Suprema hanno distratto gli osservatori dal summit tra Obama e i leader dell’Asean, il primo in territorio statunitense, nel resort di Sunnyland a Rancho Mirage, California.
Forse è stato un bene: anche in questo summit sia la strategia di Obama sia l’Asean hanno mostrato i propri limiti. Il primo riguarda il Mar cinese meridionale, dove si confrontano America, Cina e alcuni paesi dell’Asean (in particolare Filippine, Vietnam e Indonesia). Obama ha chiesto all’Asean di compiere “passi tangibili” per ridurre le tensioni nell'area, compreso “un alt a ulteriori rivendicazioni, costruzioni e militarizzazione delle aree contestate” da parte della Cina. Nel documento finale del summit (qui il testo completo) ci si limita a ribadire il principio di “libertà di navigazione”, riuscendo perfino a non menzionare il Mar cinese meridionale.
Il documento dimostra come sia l'America sia i membri dell’Asean non abbiano capito che "ci sono cose che possono e dovrebbero essere fatte e altre che dovrebbero essere evitate". Lo scrive il professor Simon Tay, presidente del Singapore Institute of International Affairs, uno dei più importanti think tank globali, in un commento inviato al Foglio. Gli Stati Uniti, secondo Tay, dovrebbero evitare di "coinvolgere l’Asean in una strategia anti-cinese", sostenendo piuttosto il negoziato per un “Code of Conduct”. Le nazioni dell’Asean, da parte loro, dovrebbero agire all’unanimità, senza lasciarsi influenzare da interessi di parte (in questo caso Laos, Cambogia e forse Thailandia sembrano favorire la Cina, al contrario di Vietnam, Filippine e Malaysia). Intanto, negli stessi giorni, la Cina avrebbe installato due batterie di missili in una delle isole reclamate anche da Vietnam e Taiwan.
Dal punto di vista economico, nel corso del summit Obama ha lanciato il nuovo “US-Asean Connect”, un programma di sviluppo delle relazioni commerciali con l’Asean e di sostegno “tecnico” alle nazioni che ancora devono aderire Trans-Pacific Partnership (Tpp), mega accordo di libero scambio da cui è esclusa la Cina e già aderiscono quattro paesi dell’Asean (Brunei, Malaysia, Singapore e Vietnam). Secondo il professor Tay, però, "il Tpp dimostra come le iniziative americane possano inavvertitamente rompere l’unità dell’Asean". E’ il caso dell’Indonesia: sembra averci ripensato. Forse perché il governo cinese sta finanziando il 30 per cento delle sue infrastrutture. Del resto, se l’Asean nel suo complesso è il quarto partner commerciale degli Stati Uniti, la Cina è il primo partner per ogni singolo paese dell’Asean. Anche la Thailandia appare più cauta verso il Tpp, forte del nuovo appoggio di Pechino. Ancora una volta, sostiene Tay, ciò è determinato dalla politica di Washington, molto critica nei confronti dell’attuale regime militare. Secondo Tay una delle cose che gli Stati Uniti dovrebbero evitare è di "enfatizzare la democrazia. Nessun dubbio che sia parte vitale della politica estera americana ma lo è solo per alcune nazioni dell’Asean". Senza contare che tale enfasi sembra valere solo per alcuni paesi e non per altri, com’è il caso del Vietnam.
[**Video_box_2**]Il fronte dell’Asean è apparentemente unito nella lotta al terrorismo. Soprattutto perché, come ha rivelato il primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong, l’Isis vuole realizzare un “wilayat”, sorta di protettorato nell’area. Ma anche su questo terreno il fronte presenta molte sfumature. Il presidente indonesiano Joko Widodo ha colto l’occasione del summit per lanciare un appello per l’indipendenza della Palestina. Mentre altri paesi come il Myanmar sono fermamente condannati per la discriminazione delle minoranze musulmane. "L’amministrazione Obama dovrebbe dimostrare maggior pragmatismo nel rapporto con i diversi gruppi dell’Asean", scrive ancora Tay. Solo così potrà sperare che il suo pivot asiatico passi alla storia.