L'isteria di Erdogan si è scatenata contro un giornale “blasfemo”
Roma. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ormai da mesi si sta confrontando con le conseguenze nefaste della politica mediorientale targata Akp, cioè quella del suo stesso partito. Il fronte del giornalismo domestico appare l’unico a potergli offrire una vittoria facile; facile per il suo governo, deleteria per lo stato già pessimo della libertà di stampa in Turchia. Ancora una volta, obiettivo di questa battaglia è Cumhuriyet (in italiano “Repubblica”), popolare quotidiano laico e progressista, tra le poche isole di minima imparzialità rimaste nel panorama mediatico turco, che si è arrischiato di solidarizzare anche con Charlie Hebdo.
E’ del 27 gennaio la notizia che il procuratore di Istanbul ha chiesto al tribunale di comminare al direttore, Can Dündar, e al capo dell’ufficio di Ankara, Erdem Gül, la sommatoria di due ergastoli – uno normale, l’altro con regime di carcere duro – e 30 anni di reclusione per aver raccolto documenti statali a fini di spionaggio, tentato di rovesciare il governo e sostenuto il terrorismo. Se i giornalisti nelle carceri e nei tribunali turchi non fanno più notizia, la portata delle pene richieste indica il livello ormai raggiunto nella lotta di Erdogan alla libertà di espressione. Dündar e Gül sono stati arrestati il 26 novembre scorso – da allora sono nel carcere di Silivri – dopo aver pubblicato a maggio un video del gennaio 2014 che mostrava la perquisizione da parte della polizia di alcuni camion contenenti vasti quantitativi di armamenti diretti oltre il confine con la Siria.
Secondo il quotidiano laico Cumhuriyet, il convoglio sarebbe stato organizzato dall’agenzia di intelligence turca Mit per rifornire di armamenti gruppi islamici estremisti – rinfocolando così la narrativa sulla spregiudicata politica turca di contiguità a sigle jihadiste in lotta contro il regime di Assad. All’inizio, la risposta del governo si era mossa dalla negazione della veridicità delle immagini alla mezza ammissione che i camion portassero “aiuti umanitari” ai gruppi turcomanni oltreconfine – circostanza poi smentita dal vicepremier Türkes e dagli stessi turcomanni. Dopodiché il focus si è spostato dai fatti in questione al contrattacco alla stampa, con il premier Davutoglu che ha definito l’inchiesta “un evidente atto di spionaggio” e Erdogan che – sulla televisione pubblica Trt – ha minacciato apertamente Dündar: “La persona dietro a questa notizia pagherà un caro prezzo”. Dalle parole ai fatti: è stato il presidente in persona – insieme al capo del Mit, Hakan Fidan – a presentare la denuncia contro il direttore di Cumhuriyet.
[**Video_box_2**]La pesantissima richiesta di condanna a Dündar e Gül non è l’unico fronte della guerra di Erdogan a Cumhuriyet e alla libertà di stampa turca. E’ infatti da poco iniziato il processo a Ceyda Karan e Hikmet Cetinkaya, editorialiste del quotidiano laico, sotto inchiesta per attacco ai valori religiosi e incitamento all’odio pubblico per aver pubblicato alcune vignette di Charlie Hebdo – tra cui la copertina del “Tout est pardonné” con Maometto – all’indomani della strage contro il giornale satirico francese. Anche in questo caso, l’azione della magistratura ha beneficiato della “spinta” del governo, arrivando dopo che Davutoglu aveva dichiarato che il suo governo non avrebbe permesso “insulti al nostro Profeta” – lo stesso Davutoglu che poco prima aveva marciato a Parigi con gli altri leader mondiali a difesa della libertà di stampa. Se condannati, Karan e Cetinkaya rischiano fino a quattro anni e mezzo di reclusione. Il caso delle due giornaliste è stato al centro di un sit-in di protesta di fronte all’ambasciata turca di Roma a fine gennaio, promosso da giornalisti italiani (incluse Fnsi e Articolo21), oltre che da Reporters Sans Frontiers e Amnesty International. Dal carcere, Dündar ha per l’occasione inviato una lettera a Matteo Renzi, chiedendogli di intervenire a difesa della libertà di stampa in Turchia. Ci sarebbe forse da chiedersi cosa sia rimasto da difendere.