Ucraina, un altro stato in default, politico ed economico, nel giardino dell'Europa
Roma. Martedì, nel giro di poche ore, l’Ucraina ha rischiato di ritrovarsi senza un governo, di tornare al voto, di allungare ancora lo stallo sulle riforme e di perdere qualsiasi nuovo aiuto economico del Fondo monetario internazionale. Il paese ha sfiorato un fallimento politico ed economico tale da vanificare ogni sforzo compiuto fino a oggi da Europa e Stati Uniti per sostenere Kiev contro la Russia. Il premier Arseny Yatseniuk ha resistito in Parlamento all’attacco sferrato dal suo alleato politico, il presidente Petro Poroshenko che intorno a ora di pranzo aveva rivolto un messaggio televisivo inequivocabile: “Per ristabilire la fiducia la terapia non basta più, serve l’intervento chirurgico”. Poroshenko ha chiesto pubblicamente le dimissioni del premier, ma senza tornare al voto perché, ha spiegato, le urne restano “una soluzione estrema”. Nel giro di nemmeno un’ora, la Rada ha dapprima bocciato la relazione del governo sugli obiettivi raggiunti nel 2015 (con 247 voti), ma ha poi confermato il premier, non raggiungendo la soglia minima richiesta di 226 voti per ottenere la sfiducia. Tra gli astenuti, oltre al blocco dell’opposizione filorussa, c’erano anche una trentina di membri del partito dello stesso Poroshenko. Yatseniuk resterà così il primo ministro dell’Ucraina almeno fino al prossimo voto di fiducia previsto non prima della prossima sessione del Parlamento, a settembre.
Poroshenko ha inaugurato in via ufficiale una crisi politica. L’obiettivo del presidente, ha scritto il sito di Politico, è quello di dare un messaggio chiaro al governo: servono le riforme per assicurare che il flusso di aiuti internazionali non si interrompa, pena la bancarotta che farebbe tornare il paese alla crisi di due anni fa. Il presidente ha quindi voluto “correre un rischio calcolato” puntando sulla scarsa propensione dell’opposizione a un eventuale ritorno alle urne. I sondaggi, in effetti, parlano di una crisi di consensi sia per la coalizione al governo – che include anche i partiti di Poroshenko e Yatseniuk – sia per il blocco dell’opposizione. Nei giorni precedenti il voto, i leader occidentali incontrati da Poroshenko alla Conferenza internazionale di Monaco avevano chiarito al presidente che lo scioglimento del governo e il ritorno alle urne avrebbero inaugurato una fase di instabilità di cui nessuno avrebbe beneficiato.
Unione europea e Stati Uniti, ha scritto Adrian Karatnycky su Politico, sono oggi “azionisti” prima ancora che sponsor del governo di Kiev con i loro 27,5 miliardi di dollari già versati nelle sue casse. Un fallimento del governo avrebbe eroso anche il consenso delle opinioni pubbliche occidentali verso le sanzioni imposte alla Russia: “Perché dovremmo fare tanti sacrifici per loro, se poi gli ucraini sono i primi a non volerne fare per se stessi?”, è la domanda che ha posto un alto funzionario europeo a Karatnycky. Il riferimento è alle riforme economiche che l’Ucraina fatica ad approvare. I ritardi e le fratture interne al governo su come destinare i miliardi del Fmi hanno irritato anche Christine Lagarde, che a inizio febbraio aveva usato toni duri nei confronti dell’esecutivo. Ma un eventuale ritorno al voto avrebbe penalizzato lo stesso Poroshenko, dato che un fallimento del governo post-rivoluzionario avrebbe significato la fine dei partiti riformisti a vantaggio dei populisti anti occidentali, come Mikheil Saakashvili, attuale governatore della regione di Odessa. Il voto di ieri ha già fatto una prima vittima tra i leader di Maidan: oggi Yulia Tymoshenko e il suo partito hanno abbandonato la coalizione di governo, in polemica per lo stallo sulle riforme e la lotta alla corruzione.
[**Video_box_2**]In attesa delle prossime due tranche del prestito del Fmi, il governo ucraino resta ostaggio delle stesse disfunzioni del sistema di potere pre-rivoluzionario. Prima fra tutte la corruzione, che rende opaca ogni linea di demarcazione tra pubblico e privato (l’indice di corruzione percepita di Transparency international colloca l’Ucraina al 130° posto su 168). L’ex ministro dell’Economia Aivaras Abramavicius, che si era dimesso a inizio febbraio, aveva lamentato le interferenze di “eminenze grigie” del mondo imprenditoriale sulla classe politica. “E’ come con il vecchio governo: si prova a esercitare il controllo sui fondi pubblici”, aveva accusato Abramavicius. Inoltre, la crisi del governo dimostra come il voto del 2014 non sia riuscito a invertire la tendenza degli ultimi anni, quella del pericoloso dualismo tra premier e presidente. Le rivalità e lo squilibrio di poteri tra il presidente Viktor Yushchenko e il premier di allora Yulia Tymoshenko, poi quella tra Yushchenko e Viktor Yanukovich e infine quella tra Yanukovich e Tymoshenko avevano frenato qualsiasi processo di riforma del paese. Ma l’equilibrio di poteri che gli ucraini avevano tentato di raggiungere dopo la rivoluzione del 2014 eleggendo due figure forti come il miliardario Poroshenko e il tecnocrate Yatseniuk rischia ora di fallire.
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