A Londra: Cameron ha bisogno di alleati per evtare la Brexit, a partire dall'amico-nemico Boris
Milano. Con il cappellino bicolore, lo zainetto e il giaccone allacciato male, rientrato a Londra di fretta da una vacanza con la famiglia, Boris Johnson si è presentato ieri dal premier inglese, David Cameron, per parlare di Unione europea. Appena il sindaco di Londra è comparso nel radar dei giornalisti, la domanda più ricorrente di queste settimane è tornata martellante: con chi sta, Johnson, con chi vuole evitare la Brexit o con chi vuole accelerarla? Storicamente euroscettico, autore di articoli memorabili sull’inutilità e la pericolosità dell’Europa, il sindaco di Londra non ha ancora deciso se stringere un patto con l’amico-nemico Cameron, sopravvivere insieme alla tempesta del referendum europeo con l’obiettivo di rimanere nell’Ue, garantirsi un ministero e chissà magari poi addirittura una successione alla guida dei Partito conservatore, oppure se andare allo scontro frontale con il premier, ora e subito, schierarsi con i sostenitori della Brexit, battere Cameron e autoproclamarsi interprete migliore dell’umore britannico.
Il fronte eurofilo è convinto che Boris Johnson sia un asset imprescindibile per vincere, averlo contro potrebbe essere disastroso: per quanto possa essere un leader controverso, il sindaco ha un’abilità di comunicazione straordinaria, che finirebbe per indebolire l’offensiva europea di Cameron, che già parte tentennante. Secondo un sondaggio Ipsos Mori, un inglese su tre dice che la posizione del sindaco è “importante” per decidere per l’in o per l’out. Johnson sa di essere decisivo e infatti ieri, uscendo da Downing Street con la sua tipica aria sorniona, ha fatto sapere di non essere ancora soddisfatto di quanto il premier sta negoziando a Bruxelles (oggi si apre il vertice della resa dei conti): ci vuole di più. “Tornerò – ha detto Boris – no deal as far as I know”, non c’è ancora un accordo. Ma tra poco ci sarà: il suo entourage fa sapere che il sindaco “è genuinamente indeciso”, ma che entro la settimana, cioè domani, dopo che il vertice europeo si sarà chiuso, farà sapere con “assordante éclat” qual è la sua posizione.
Cameron, arrivato a Bruxelles “molto stressato” come scrive il Times, sa che il suo negoziato con l’Ue non è stato accolto con entusiasmo nel Regno Unito. I media euroscettici – soprattutto i tabloid, cioè i più letti – non perdono occasione per sottolineare come il premier stia “svendendo” il paese per compiacere i burocrati di Bruxelles, e più attori, banchieri, imprenditori, politici anche di peso ricordano che la Brexit potrebbe avere effetti catastrofici sul paese, più cresce l’insofferenza nei confronti di Cameron e del suo accordo con l’Europa. Ha bisogno di alleati, il premier. Ma i suoi danno “50:50” la possibilità che Johnson si schieri con gli eurofili, e la stessa preoccupante percentuale vale anche per Michael Gove, ministro della Giustizia, amico di Cameron intimamente euroscettico. Johnson e Gove, scrive il Financial Times, sono “i più articolati sostenitori della causa euroscettica tra i banchi dei conservatori”, e questo spiega perché Cameron abbia detto accorato agli europei: “Non costringeteci a uscire”.
[**Video_box_2**]Nonostante il clima disperato, il premier non è del tutto solo nella sua battaglia. Con lui c’è il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, che all’inizio del negoziato con l’Ue si era messo a disposizione come sherpa per cercare di oliare i rapporti tra il Consiglio europeo e Londra. Strada facendo ha però smesso di viaggiare facendo le veci del suo capo, anche perché ha dovuto occuparsi della riforma del codice fiscale che gli sta dando più di un problema. C’è chi dice perfidamente che in realtà Osborne abbia capito che la questione europea può davvero stroncare i sogni di Cameron, e avendo l’ambizione di prenderne il posto non è utile esporsi troppo assieme a lui. E’ rimasto così a fare da tramite tra il premier e i conservatori – che promettono già da domani uno showdown – Oliver Letwin, policy chief di Cameron, che è stato incaricato, anche di fronte a Johnson, di far sì che la sovranità del Parlamento britannico rispetto alle decisioni di Bruxelles sia garantita “al di là di ogni dubbio”. Dicono che Letwin sia sempre isterico: è difficile trovare un accordo che accontenti tutti, soprattutto è difficile essere sempre stati tiepidamente euroscettici e ritrovarsi a dover fare gli eurofili convinti.