Un vertice prolungato
Con l'ultimo negoziato l'Ue (ri)scopre quanto è difficile amare gli inglesi
Bruxelles. I leader dell’Unione europea hanno riscoperto ieri quanto sia difficile amare gli inglesi, dopo un’estenuante trattativa con David Cameron per arrivare a un accordo che consenta al premier britannico di fare campagna per restare in Europa nel referendum che si annuncia per il 23 giugno. Il compromesso che doveva arrivare con un “english breakfast” mattutino, è man mano slittato al “brunch”, “lunch”, “high tea” e “dinner”. In serata, i capi di stato e di governo stavano ancora negoziando su dettagli minimi, spesso insignificanti. Nonostante abbia ottenuto quasi tutto quello che aveva chiesto, Cameron ha rifiutato per tutto il giorno ogni prospettiva di tornare a Londra senza un accordo pieno. Si è scontrato per ore con i paesi dell’est sui benefici sociali riservati ai figli degli immigrati europei, ma residenti nel paese di origine, che dovrebbero essere indicizzati al tenore di vita locale (costo per Londra: poche decine di milioni di sterline). La trattativa è durata oltre 24 ore sulle parole esatte che dovrebbero regolare i rapporti bancari e finanziari tra la City di Londra e la zona euro.“L’intenzione è arrivare a un accordo a questo Vertice, non importa quanto tempo ci vorrà”, spiegava una fonte europea. Tutti volevano chiudere: Cameron per riuscire a convocare il referendum nella data scelta (il 23 giugno); i leader europei per sbarazzarsi di una questione britannica sempre più fastidiosa, nel momento in cui il continente trema per la paura di essere travolto da un’altra ondata di migranti.
Il Regno Unito va tenuto dentro a tutti i costi per la sua tradizione democratica, la sua potenza militare e la sua visione liberale dell’economia. Ma il vero scontro al vertice è stato sulla crisi dei rifugiati, che mette a repentaglio l’intera costruzione. La lunga cena di giovedì sull’immigrazione si è trasformata in una bagarre a Ventotto, tra chi come la Germania vuole tenere le frontiere aperte e chi come l’Austria pretende di mettere in quarantena la Grecia. Alla fine è stata data un’ultima possibilità a Angela Merkel di frenare i flussi grazie alla cooperazione di Ankara, con un summit tra l’Unione europea e la Turchia a inizio marzo. Con la decisione di inviare aiuti umanitari europei a Atene (non era mai accaduto per uno stato membro) s’inizia a preparare il piano B: centinaia di migliaia di migranti bloccati in Grecia a causa dell’effetto domino di frontiere e muri nazionali.
[**Video_box_2**]Per tornare a essere amato nell’Ue, Cameron dovrà lavorare duro per ottenere dai britannici un voto favorevole all’Ue. Prevarranno la razionalità e la ragione economica oppure i malumori nei confronti di un’Unione europea percepita come invadente, burocratica e minacciosa con le orde di migranti che arrivano dall’est europeo o sbarcano sulle coste del Mediterraneo? Un sondaggio della Tns di ieri dice che il 36 per cento dei britannici è pronto a votare per l’uscita, contro il 34 che vorrebbe restare. La battaglia di Cameron non sarà a Bruxelles, ma nel beato isolamento in patria. Boris Johnson, il carismatico sindaco di Londra, è stato soprannominato “Broxit” dal Financial Times per la sua incapacità di scegliere sulla “Brexit” tra l’ego smisurato e gli interessi del paese. I tabloid parlano di accordo “cosmetico”. Il leader del partito eurofobo Ukip, Nigel Farage, se la gode dicendo una mezza verità: “David Cameron è passato dal parlare di cambiamento fondamentale a elemosinare concessioni minori”. Gli europeisti la pensano allo stesso modo. “E’ un’occasione mancata” di riformare l’Unione europea, secondo l’europarlamentare francese, Sylvie Goulard.
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