Il presidente americano Barack Obama (foto LaPresse)

Obama e i raid

Paola Peduzzi
Sirte è una nuova Raqqa, stessa brutalità, stesso controllo. I piani dell'intelligence americana e quelli europei.

Milano. “Per quel che riguarda la Libia – ha detto il presidente americano Barack Obama martedì – Ho detto chiaramente fin dall’inizio che daremo la caccia allo Stato islamico ovunque sia. Stiamo lavorando con i partner della nostra coalizione per far sì che, qualora vedessimo l’opportunità di evitare che lo Stato islamico metta radici in Libia, la sfrutteremo”. Questa e altre rassicurazioni di Washington sono state lette nelle ultime settimane come una dichiarazione di intenti: stiamo per allargare la missione contro il Califfato alla Libia. Le forze speciali – anche quelle italiane – sono già presenti; gli strike mirati contro leader islamisti sono già stati fatti; i piani di azione del Pentagono, con la collaborazione del dipartimento di stato – come ha raccontato il New York Times – sono già stati elaborati e presentati. Alla luce dei report di intelligence che raccontano un’espansione costante e significativa – in termini di arruolamento soprattutto: 5.000 uomini, fino a pochi mesi fa erano mille di meno, secondo i numeri forniti dagli americani – dello Stato islamico in Libia, la missione pare oltre che necessaria urgente. Obama però ha per il momento rifiutato le opzioni dei militari per un’operazione in Libia. “Nell’Amministrazione c’è poco se non nessun appetito per un’iniziativa del genere”, ha detto una fonte della Difesa a Nancy Youssef sul Daily Beast. “Non c’è in preparazione nulla che assomigli a un’operazione militare allargata in Libia – ha detto un’altra fonte – Continueranno gli strike come quello a novembre contro Abu Nabil”. Le richieste dei militari, che comprendevano un’intensificazione dei raid aerei e il dispiegamento delle truppe d’élite a Sirte, “capitale” dello Stato islamico in Libia, sono state per il momento accantonate. Ci vuole più intelligence, dicono alcune fonti; non c’è volontà politica, dicono altre.

 

Sulla Libia il rapporto tra i militari e Obama è sempre stato burrascoso. Due giorni fa ricorreva il quinto anniversario dall’inizio delle proteste, nel 2011, contro l’allora dittatore Muammar Gheddafi: dopo un mese di proteste e repressioni, con il rais libico che chiamava i manifestanti “topi” e diceva che sarebbe andato a scovarli “angolo per angolo”, la Nato e l’Onu decisero di avviare la missione aerea contro il regime. Allora il Pentagono consigliava Obama di stare lontano da quella guerra: la crisi libica non rappresentava una minaccia per la sicurezza americana. Il presidente però, su consiglio delle “valchirie” (Hillary Clinton, allora segretario di stato, Samantha Power, ambasciatrice all’Onu, Susan Rice, capo del Consiglio per la sicurezza nazionale), decise di partecipare alla missione, in modo non troppo visibile ma comunque ingente – fu coniata allora la formula della dottrina “leading from behind”. Cosa è accaduto dopo lo sappiamo: con l’arrivo di Obama alla Casa Bianca l’occidente ha smesso di occuparsi di “nation building”, attività che a Washington suona oggi come un sinonimo di “occupazione”. Ora che lo Stato islamico cerca di allargare i suoi confini, Obama ha deciso di non ascoltare, ancora una volta, il consiglio del Pentagono, questa volta però per aspettare. L’intelligence e i militari sono in allarme: i miliziani arrivano da Egitto, Ciad, Nigeria e Tunisia per arruolarsi, gli abitanti di Sirte non possono lasciare la città, non hanno accesso a internet e vivono sotto la sharia dello Stato islamico, con condanne a morte continue. Il modello è quello adottato a Raqqa e a Mosul, con incursioni a Ras Lanouf per distruggere le infrastrutture petrolifere, e altri attacchi terroristici a Misurata e a Derna.

 

[**Video_box_2**]I meccanismi di conquista del Califfato sono disgraziatamente noti, così come è noto che l’attesa non determina un contenimento, anzi. Ma Obama vuole che a prendere l’iniziativa siano gli europei. Un documento fatto circolare da Wikileaks e Vice Italia spiega che l’atteggiamento europeo è del tutto diverso. Enrico Credendino, il controammiraglio italiano a capo della Sophia, la missione davanti alle coste libiche contro il traffico degli esseri umani, è pronto a entrare in una fase più avanzata dell’operazione. Si tratta di avvicinarsi alle coste – e in un passo successivo addirittura arrivare a mandare truppe di terra – ma per farlo è necessario che ci sia una richiesta da parte del governo libico. Il problema è sempre lo stesso: è necessario un interlocutore in Libia, ma il governo non riesce nemmeno a entrare in Libia.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi