Debito e tasse. Gli esperti smontano il libro degli incubi di Podemos per l'economia spagnola
Roma. Podemos, la formazione antisistema spagnola guidata da Pablo Iglesias, non è mai stata così vicina al governo. Il premier designato Pedro Sánchez, del Partito socialista, la considera ancora un possibile alleato per l’esecutivo, e Iglesias, sapendo di essere forse essenziale, non lesina le pretese di poltrone e di garanzie sul programma economico che il nuovo esecutivo deciderà di adottare. Ma come funziona questo programma? Sul Mundo di ieri alcuni esperti (Daniel Lacalle, economista, Sebastián Puig, analista e scrittore, Pilar García de la Granka, giornalista economica) hanno smontato pezzo per pezzo il piano di governo presentato nelle settimane scorse da Podemos, mostrando come si tratti in realtà di un libro dei sogni impossibile da realizzare perché basato su presupposti fantasiosi.
La prima ragione di scetticismo è che il programma di Podemos pretende un referendum per l’indipendenza della Catalogna. Se fosse organizzato, e se i catalani votassero per la secessione, la Spagna perderebbe di colpo il 18 per cento del suo pil, devastando i piani economici di qualsivoglia governo. Ma anche se la Catalogna rimanesse spagnola i calcoli di Iglesias sono inattuabili.
Gli esperti del Mundo notano, per esempio, che tutte le previsioni economiche di Podemos sono basate su un’aspettativa di crescita del pil che da qui al 2019 dovrebbe essere di circa il 6 per cento all’anno. “Una cifra che ci metterebbe al pari di paesi come la Cina”, scrivono ironici, “qualcosa di veramente inaudito tenendo conto dell’evoluzione della nostra economia. Né la Spagna né nessun paese del primo mondo è cresciuto a un ritmo del 6 per cento negli ultimi 30 anni”.
Podemos inoltre si aspetta, come a suo tempo il ministro delle Finanze greco Varoufakis, di poter imporre alle autorità europee un nuovo e più graduale piano di riduzione del deficit che permetta alla Spagna di ignorare il Patto di stabilità e di portare il debito pubblico spagnolo a oltre il 90 per cento del pil.
Su questi presupposti da “puro wishful thinking”, Podemos intende proporre una spesa addizionale di 96 miliardi di euro da qui al 2019 per “invertire i tagli ai servizi pubblici fondamentali”, ai programmi sociali e ai piani di investimento pubblico. Come ottenere i soldi? Da fonti “incerte e poco credibili”, scrive il Mundo, come la lotta contro l’evasione, da cui Podemos intende recuperare 12 miliardi, l’“effetto moltiplicatore” della spesa pubblica, che secondo gli economisti antisistema dovrebbe portare quasi 30 miliardi nelle casse dello stato grazie a una torsione notevole della teoria keynesiana, 26 miliardi da non meglio precisati “risparmi di bilancio” e 28 miliardi da “una nuova riforma fiscale”: in poche parole, più tasse.
E’ questo il grosso del piano economico di Podemos, più tasse, imposte e balzelli. L’elenco fatto dagli esperti del Mundo sembra infinito: iva sui prodotti di lusso al 25 per cento (benché l’Ue non lo permetta), Irpef aumentata per i redditi da più di 60 mila euro di base imponibile; aumento della tassa alle imprese, aumento della tassa di successione, imposizione di una “imposta di solidarietà” alle entità finanziarie e applicazione della Tobin tax sulle transazioni finanziarie.
“Il piano è chiaramente antioccupazione e anticrescita”, concludono gli esperti. “Aumenterà le tasse alle piccole e medie imprese e ai lavoratori autonomi, e non esiste un caso nella Ocse in cui un simile aumento delle tasse e delle spese abbia generato aumento dell’occupazione”.
[**Video_box_2**]Pedro Sánchez sta ancora valutando. Lui per primo ha proposto in campagna elettorale l’inversione di alcune delle misure di austerity del governo del Partito popolare di Mariano Rajoy. Ma è un economista di formazione, e dovrebbe saper distinguere tra le riforme attuabili e i libri dei sogni. La lettura dei piani economici di Podemos dovrebbe aprirgli gli occhi.