Una visione per il futuro e l'eredità della Thatcher. I sogni dei fan della Brexit
Milano. La sterlina è crollata, l’agenzia Moody’s ha fatto sapere che un’uscita del Regno Unito dall’Europa avrebbe più svantaggi che vantaggi, gli imprenditori si sono uniti in coro: la Brexit sarebbe un disastro, evitatela. L’accordo che il premier, David Cameron, ha trovato venerdì con i paesi dell’Unione europea, dopo una giornata tormentata e nervosissima, non ha avuto nemmeno per un minuto l’impatto rassicurante che si sperava. Il premier respirava un po’ dopo due giornate di appelli e tensione davanti ai colleghi europei, e intanto a Londra gli schieramenti si ribaltavano: chi era senza voce se n’è trovata una fortissima, chi ce l’aveva è rimasto soffocato dal panico. Il sindaco di Londra, Boris Johnson, è il testimonial che la campagna del “Leave” (quella che vuole l’uscita dall’Ue) andava cercando, dopo mesi di guerriglia fratricida, tanti piccoli gruppi che si sovrapponevano, litigate furiose, urla sconnesse e piuttosto irrilevanti. Cercasi disperatamente un leader, si diceva negli ambienti legati alla Brexit, e se ora Boris Johnson non aspira a diventare il capo della campagna del “Leave” – lui stesso non sa nemmeno dire quale gruppo avrà il sopravvento sugli altri, ottenendo i finanziamenti per il referendum del 23 giugno – “sarà particolarmente efficace nell’attirare i voti degli indecisi al centro e dei Tory che ondeggiano tra il ‘leave’ e il ‘remain’”, dice al Foglio il commentatore Robert Colvile, ex capo delle pagine degli editoriali del Telegraph. Non ha bisogno di una nomina, insomma, Boris Johnson, che ieri andando al lavoro – presentava l’ultimo budget della città di Londra, dove a maggio si voterà il suo successore – ha già iniziato a farsi sentire, mentre pedalava affannato: i costi della Brexit sono esagerati, e smettetela di leggere questo referendum come uno scontro fra personalità, è il nostro rapporto con l’Europa a essere in discussione.
Colvile è convinto che l’ambizione di Johnson in parte c’entra con la sua decisione, ma non spiega tutto, “l’avversione del sindaco per l’Europa è genuina”: è stato Johnson, quando faceva il corrispondente a Bruxelles per il Telegraph, a costruire gli argomenti dell’euroscetticismo contemporaneo. Ma le personalità contano eccome in uno scontro come questo: se la campagna per la Brexit prima era prerogativa dell’indipendentista Nigel Farage o dell’ancor meno presentabile George Galloway, oggi può contare su un personaggio popolare e ciarliero come Johnson. Non solo: tra i “ribelli” che hanno deciso di non seguire il premier Cameron nella battaglia per restare in Europa c’è Michael Gove, ministro della Giustizia considerato l’intellettuale del conservatorismo britannico moderno. Liberale e thatcheriano come Johnson, Gove garantisce al campo del “Leave” quella struttura culturale che mancava, e non è un caso che la sua spiegazione dei motivi per sostenere una Brexit è molto più elaborata e convincente di quella di Johnson. Gove ha spiegato sullo Spectator che l’Ue è rimasta impigliata in infiniti tentennamenti e compromessi e questo le ha impedito di garantire quella sicurezza – economica e sociale – che era alla base del suo progetto. L’Europa “è analogica in un’èra digitale”, dice Gove, e questo cambia non soltanto gli equilibri della battaglia politica, ma anche la prospettiva per il futuro che i due schieramenti vogliono offrire.
James Forsyth, capo della politica dello Spectator, ha spiegato che ora ci sono due visioni competitive per il futuro del Regno Unito, quando prima ce n’era soltanto una, stabilita da George Osborne, cancelliere dello Scacchiere molto operativo nei negoziati con l’Ue: i sostenitori del “Leave” erano considerati i fan del passato, retrogradi e un po’ rozzi, appassionati di un’èra (fortunatamente) perduta. Erano, secondo Osborne, i sostenitori del “Remain” i coraggiosi custodi della modernità. Ora questa visione è stata scardinata e quando ieri Charles Moore, biografo ufficiale di Margaret Thatcher, ha festeggiato l’arrivo di Boris nel campo della Brexit, è successa un’altra cosa ancora: ora si può rivendicare l’eredità della Lady di Ferro con una campagna fieramente euroscettica. Da settimane i conservatori a caccia di una sintesi in cui immedesimarsi si interrogano su quale decisione avrebbe preso oggi la Thatcher, “leave” o “remain”? Alcuni suoi collaboratori si sono schierati, c’è chi dice che sarebbe stata per l’Europa come fu nel referendum del 1975 e c’è chi sostiene il contrario. E’ difficile stabilire chi ha ragione, le condizioni sono del tutto diverse, ma è chiaro che fino a tre giorni fa il campo del “Leave” non poteva nemmeno aspirare a poter discutere di tale e tanta eredità.
[**Video_box_2**]Lo slancio che la ex scombiccherata campagna per la Brexit ha guadagnato con Johnson e Gove (più gli altri quattro ministri e i 97 parlamentari conservatori che stanno con loro) potrebbe non essere decisivo, e il premier Cameron ieri ha già iniziato a usare parole durissime contro Johnson. Nello scontro tra personalità, conta e conterà sempre più il cancelliere Osborne: “Starà dietro le quinte come ha fatto in gran parte finora – dice Robert Colvile – ma sarà profondamente coinvolto nella strategia referendaria e soprattutto nel capire come ricucire il Partito conservatore una volta che tutto sarà finito”.