No Brexit, grazie
Chi scrive deve confessare i suoi limiti. Mi piacciono le persone con sense of humour e Boris Johnson ne ha in abbondanza. Ho sentimenti positivi verso chi è colto e cosmopolita, come Boris. Se nel suo patrimonio di cultura abbonda quella classica, e Boris può fare discorsi in latino e scrive libri sulla storia di Roma, la simpatia aumenta. Infine, se la persona in questione ha frequentato Oxford o Cambridge (più la seconda della prima) e ne è uscito a favore del libero mercato ed è pure capace di amministrare e non solo di chiacchierare, come Boris, è decisamente il mio tipo.
Quindi, come il Grande Bardo suo connazionale fa dire a Marco Antonio di Bruto, Boris è un uomo d’onore. Però si sbaglia se pensa di assassinare l’Unione europea con 33 coltellate e restituire così la libertà al popolo britannico.
Devo dire, infatti, che dopo aver letto il lungo articolo sul Daily Telegraph in cui il sindaco di Londra spiegava perché avrebbe votato per la Brexit, mi sono ancor più convinto che per il Regno Unito rimanere nell’Unione è conveniente.
Mi aspettavo di trovare qualche argomento-killer, una di quelle illuminazioni di fronte alle quali rimproverarsi di non averci pensato prima e invece, seppur in ottimo inglese e con toni pacati ma con solo qualche pallida traccia del suo umorismo, ho letto le solite argomentazioni che i tabloid inglesi ripetono da anni.
Per carità, molti degli attacchi che gli euroscettici indirizzano a Bruxelles e alla sua burocrazia hanno un fondamento: tuttavia il mondo non è sotto vuoto spinto, è fatto di alternative. “On the one hand…on the other hand”: se l’Europa non ti piace, mi devi dimostrare che l’insularità è più conveniente.
E qui Boris inciampa. Vediamo il suo argomento principe: Bruxelles è diventata sempre più invasiva, affetta da bulimia di leggi e regolamenti spesso ridicoli che non abroga mai ed è profondamente anti-democratica. Ok, quindi il fatto che Cameron abbia ottenuto che Londra sarà esentata dal perseguire una unione sempre più stretta e che la maggioranza di Parlamenti nazionali potrà rigettare una norma europea non gradita dovrebbe averlo soddisfatto. Sì, ma non abbastanza, afferma il Nostro, perché la supremazia della legge europea è inarrestabile e una volta che viene emanata una disposizione rimane lì in eterno. Questa lamentela non è proprio vera: Hugo Dixon ha pubblicato una tabella che evidenzia come in 10 anni, dal 2005 al 2014, l’Unione europea ha revocato o abrogato 6.150 atti amministrativi e normativi.
Così come non dovrebbe sfuggire a Johnson che il suo primo ministro, facendo un favore a tutti noi, ha ottenuto che nei trattati ricomparissero con preminenza le parole concorrenza e deregolamentazione, ha posto in essere meccanismi per i quali le decisioni dei paesi dell’eurozona non impegneranno quelli fuori dalla stessa e farà risparmiare qualcosa alle casse britanniche sul welfare dei lavoratori europei emigrati oltre Manica. Sui migranti extraeuropei, poi, Londra ha sempre fatto quello che gli pareva e si è pure rifiutata di prendere la sua piccola quota dei 160.000 rifugiati che la Commissione Europea aveva allocato l’anno scorso.
L’insegnamento (incompreso) di Popper
Boris riconosce che con la Brexit ci sono rischi per l’economia, per la City o anche per la separazione della Scozia, che per un unionista come lui è un vero e proprio sacrilegio, ma sbrigativamente afferma che secondo lui sono “esagerati”. Ohibò e su che basi, visto che tutte le più grandi imprese, domestiche e straniere, si sono schierate per l’Europa? E che la leader dello Scottish National Party ha subito fatto sapere che l‘uscita del Regno Unito avrà come conseguenza immediata un altro referendum secessionista?
I più grandi alleati di Londra, dagli Stati Uniti a quei paesi che ancora hanno la Regina Elisabetta come capo di stato, come Canada e Australia, vogliono la Gran Bretagna nella Ue e Johnson fa finta di niente? Norvegia e Svizzera sono fuori dall’Unione ma ne devono accettare gran parte delle regole senza poterle influenzare e lui pensa che i britannici avranno un trattamento migliore?
Ma dove il vulcanico Boris sbaglia concettualmente è proprio nella presunzione fatale (come avrebbe detto un suo maestro quale Hayek) che ci sia un determinismo storico che garantisca che la Gran Bretagna sarà sempre unita e governata dal partito Conservatore che ne garantirà libertà economica e prosperità . La storia, invece, non è già scritta e per i primi 35 anni del dopoguerra, anche con i Tory al potere, il Regno Unito era il paese più socialista d’Europa, tanto che un certo punto si riuscì a tassare i redditi più alti al 98 per cento.
[**Video_box_2**]L’Unione europea nasce invece con un gruppo sanguigno liberale, ora annacquato ma che può essere rinvigorito proprio grazie ai paesi dell’est e a Londra. Bruxelles, ricordiamocelo, forse proibisce il riutilizzo delle bustine del the, ma ha imposto le quattro libertà fondamentali per merci, capitali, persone e servizi.
Certo, la Gran Bretagna non entrerà negli Stati Uniti d’Europa, se mai ci saranno, ma nessuno sembra proporglielo, d’altronde.
Ironia della sorte, l’ammiratore di ogni pensatore liberale del Novecento, per giustificare la sua Borixit sembra essere caduto vittima di quelle miserie dello storicismo contro cui ammoniva, da Londra, il rifugiato Karl Popper.