Il dorato sogno americano di Melania Trump
New York. Qualunque cosa Melania Trump abbia detto nella prima intervista televisiva dall’inizio della campagna elettorale è stata superata dal luogo in cui l’ha detto. I concetti, pur riferiti in modo chiaro e in un inglese slavizzante che ha una sua musicalità, si sono affievoliti di fronte al trionfo luccicante dell’atrio della Trump Tower prescelto, le parole fra lei e Mika Brzezinski sono state inghiottite dalle sedie in stile Luigi XIV ritoccate dall’arredatore di Kanye West, dai lampadari di cristallo, dai marmi, dalle colonne, dall’abbacinante sfarzo accuratamente scelto e messo in posa.
Un oligarca russo avrebbe suggerito un po’ di sobrietà. Quale immagine potrà mai trasmettere l’ex modella slovena immersa in questo lussuoso luccicare alla classe media irrequieta che Trump pasce? Io ho vinto, potete vincere anche voi.
Altro che tasse ai ricchi e condivisione delle sofferenze, altro che banchieri da soffocare con il caviale e cinghie da stringere ancora di un buco.
Il particolare brand populista di Trump non prevede che il grande magnate favolosamente ricco si abbassi al livello del popolo, si finga povero per esercitarsi con l’empatia, ma espone il suo sibaritico stile di vita a chi lo brama. Io non scendo, venite su voi. Quella dell’aspirante first lady non è un’intervista, è una pacchiana promessa di prosperità, è il sogno americano a 24 carati.
Poi, certo, c’è la difesa d’ufficio del marito, l’elogio di un rapporto adulto in cui ciascuno ha la sua autonomia, i suoi diritti, i suoi spazi, tanto che il Donald ne esce quasi come un’icona femminista, c’è lo sguardo magnetico di una quarantacinquenne che fra le cornucopie che traboccano dobloni e i putti che versano Veuve Cliquot dice “sono una full time mom”; ma quel che prevale è la promessa implicita nella scenografia . Il gran populista democratico Huey Long aveva un motto: ogni uomo un re. Non voleva tutti gli uomini impiegati in appartamenti standard arredati Ikea, ma coperti d’oro come sovrani.