Kuwait City celebra ancora il suo eccezionalismo tra gli stati arabi

Daniele Raineri
Le celebrazioni per la festa della Liberazione, come loro chiamano la fine delle operazioni militari che nel febbraio 1991 ricacciarono in Iraq l’esercito di Saddam Hussein, e quei video di Bush padre.

Kuwait City. Mercoledì e giovedì i kuwaitiani hanno celebrato la festa della Liberazione, come loro chiamano la fine delle operazioni militari internazionali che nel febbraio 1991 ricacciarono in Iraq l’esercito di Saddam Hussein. Una tradizione moderna e sentita vuole che i genitori portino in macchina i bambini a spruzzare i passanti con pistole ad acqua e gavettoni e che dai marciapiedi altri bambini rispondano contro le macchine con le stesse munizioni, ed è uno spettacolo di zampilli incrociati confortante da vedere in un’area che in generale, appena al di fuori dei confini nazionali, è violenta in modo così rovinoso. In generale i controlli di sicurezza sono al minimo e anche questo fa parte dell’anomalia. Il Kuwait è un mini-stato incastonato fra i grandi rivali del medio oriente, Arabia Saudita e Iran, e confina con l’Iraq devastato dalla guerra e dagli estremisti, ma mantiene una sua eccezionalità rispetto agli altri paesi arabi. In questi giorni sui telefonini circola un video di George Bush padre mentre annuncia al Congresso americano che la guerra è finita e si rivolge così all’ambasciatore kuwaitiano Nasser al Sabah: “Ambassador Al Sabah, tonight Kuwait is free”. Sui quotidiani si ripubblicano pezzi originali di quei giorni, con i giornalisti che non si capacitano che il conflitto stia procedendo così in fretta e che la resistenza della Guardia repubblicana di Saddam sia così debole. Scontri a gavettoni, video virali di presidenti americani apprezzati come da noi Tardelli al Mundial ’82. Ci sarebbe da esserne rinfrancati, se non si sapesse ormai che è meglio tenere le illusioni a fuoco minimo, in questi anni e in medio oriente, se non altro per ragioni scaramantiche.

 


Kuwait City


 

Sono passati venticinque anni, ma il fatto che l’Italia facesse parte della Coalizione internazionale che si oppose a Saddam non è stato dimenticato. Nella hall di un albergo della capitale c’è Gianmarco Bellini, pilota di un Tornado italiano che nel gennaio 1991 fu abbattuto dagli iracheni sopra il Kuwait. E’ stato invitato assieme a tutti gli altri piloti alleati abbattuti e catturati in quei giorni per una cerimonia di ringraziamento dedicata “agli eroi del Kuwait”. “Mi ricordano meglio qui che in Italia”, dice. “Quella del 1991 fu l’ultima guerra a essere combattuta tra due avversari ben definiti e in modo convenzionale. Si sapeva senza esitare chi era il nemico. Fu un conflitto tra eserciti regolari e combattuto per una giusta causa: un vicino aveva aggredito e invaso il Kuwait, noi restituimmo il paese agli abitanti. Oggi non è più così, non c’è più un esercito nemico, il nemico potrebbe essere chiunque”. Mercoledì sera, durante un’altra cerimonia tenuta al memoriale per i caduti in centro città, una ragazza ha portato sul palco la bandiera italiana, assieme alle altre. La lista delle nazioni scandita raccontava un mondo tramontato. C’era la bandiera della Siria, che si schierò con l’Arabia Saudita (oggi si detestano). Mancava quella della Russia, che nel 1991 era impegnata a districarsi dalla crisi interna e dal grande afflosciamento dell’Unione sovietica. Tra venticinque anni, in questa regione, chi sarà ricordato come un amico e chi come un nemico? Le guerre di oggi saranno un capitolo chiuso?

 

[**Video_box_2**]Per ora il Kuwait mantiene una posizione neutrale anche se più attratta, come per forza di gravità, dalla politica saudita. L’interesse del paese, come dicono alcuni rappresentanti del governo con cui c’è stata occasione di scambiare due chiacchiere, è fare da pontiere, da mediatore tra le altre capitali dell’area e ritagliarsi un ruolo simile a quello del piccolo Oman, crocevia di molti traffici diplomatici (per esempio quelli tra americani e iraniani). E nel frattempo, fare fruttare le risorse energetiche a prezzo calante “in modo più smart che da altre parti”: com’è possibile, chiedono con malizia, che l’Iraq abbia due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, e siamo noi a mandare loro acqua che otteniamo dai desalinizzatori e non viceversa? Sprecano troppo nella violenza.
Daniele Raineri

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)