L'Iran, le urne e l'anguria
Milano. Dicono che le elezioni in Iran sono come le angurie al mercato: non sai se sono buone davvero fino a che non vai a casa e vedi come sono dentro. Il voto di venerdì nella Repubblica islamica d’Iran per la rielezione del Parlamento e del Consiglio degli esperti, l’organo che nomina la Guida suprema, non fa eccezione: il fronte del presidente, Hassan Rohani, ha ottenuto un gran risultato, grazie anche alla regia perfetta dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani. Il ministero dell’Interno ha comunicato che l’affluenza è stata in media del 56 per cento, più bassa rispetto alle ultime tornate elettorali, con picchi del 62 per cento nelle campagne e del 50 per cento a Teheran dove i cosiddetti “riformisti” hanno ottenuto il risultato migliore. La precisazione sa di delegittimazione, ma la Guida suprema, Ali Khamenei, ha comunque celebrato i circa 33 milioni di iraniani che sono andati a votare, e non ha aggiunto altro. A Teheran i risultati sono inequivocabili, nelle aree rurali invece ancora si deve capire come è andata: l’Associated Press, citando la tv di stato iraniana, ha detto che i “riformisti” assieme ai “conservatori moderati” hanno ottenuto 185 seggi nel Parlamento che ne ha 290 (per 50-60 seggi il risultato non è chiaro, si andrà al ballottaggio tra aprile e maggio). Nel Consiglio degli esperti, a Teheran, è accaduto l’inimmaginabile: il fronte di Rohani ha conquistato tutti i seggi tranne uno, l’ultimo, il quindicesimo, cui è rimasto aggrappato il falchissimo Ahmad Jannati, che come presidente del Consiglio dei guardiani è il responsabile dell’eliminazione dalle liste elettorali dei nomi dei candidati moderati.
Jannati sembrava escluso dai quindici seggi disponibili a Teheran nel Consiglio degli esperti, pare che sia stato “ripescato” all’ultimo momento: l’esperto di cose iraniane, Amir Taheri, dice che sono state le immancabili manovre di palazzo a proteggerlo. Sempre Taheri su Twitter sta postando alcuni miniprofili dei 42 nuovi eletti nel Consiglio degli esperti: c’è l’ayatollah Moshen Araki, il fondatore delle Brigate Badr in Iraq, diventato iraniano nel 2002; c’è anche l’ayatollah Mujtaba Hussein, che per anni – scrive Taheri – ha guidato la missione iraniana in Siria per convertire i siriani allo sciismo. L’elenco continuerà, ma è chiaro che l’anguria vista da vicino non è così buona come sembrava al mercato. Rohani, con il deal sul nucleare negoziato con l’occidente e la promessa di rilancio economico che vale l’8 per cento di crescita, una cifra enorme, ha per ora avuto la meglio, o come scrive Barbara Slavin dell’Atlantic Council (perdonate le continue metafore vegetali): “Gli iraniani sono riusciti a fare una limonata dai limoni che il regime ha messo loro a disposizione”. Ma l’eccessivo entusiasmo è un’illusione. Saeed Ghasseminejad, nato e cresciuto in Iran e ora associate fellow della Foundation for Defense of Democracies, ribalta, parlando con il Foglio, la prospettiva: i falchi hanno vinto nel Consiglio degli esperti che eleggerà la prossima Guida suprema, “e non sarà certo meno radicale di Khamenei”. Il quale, sottolinea l’analista, “aveva comunque già vinto eliminando prima del voto la maggioranza dei suoi rivali: il prossimo Parlamento e l’Assemblea non gli procureranno alcun fastidio, non è affatto preoccupato”.
[**Video_box_2**]Anche l’ex presidente Rafsanjani, maestro di trasformismo, ha ottenuto una vittoria, con l’esclusione dall’Assemblea dei suoi arcinemici, Mohammad Taghi Mesbah Yazdi e Mohammad Yazdi. Così come Rohani a Teheran “ha assistito alla dipartita di Gholamali Haddad Adel, il suocero del figlio di Khamenei: Adel voleva diventare lo speaker del Parlamento, ma non è riuscito a mantenere il proprio seggio”, dice Ghasseminejad. E aggiunge: “I leader dell’Onda verde, votando a questa elezione, hanno celebrato il funerale del loro movimento”. Che cosa dobbiamo guardare allora adesso? “Rohani ha bisogno della collaborazione del Parlamento – dice l’analista – per dare seguito alle proprie promesse: sarà interessante vedere se i falchi lavoreranno con il presidente o sceglieranno di combatterlo su ogni singola questione”. L’ultima domanda, la più difficile: e i pasdaran? “Loro hanno già il dominio sull’economia – conclude Ghasseminejad – non si interessano del Parlamento”. Ma del Consiglio degli esperti sì.
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