Funzionerà il vertice turco-europeo a Bruxelles?
C’è grande attesa per il vertice straordinario turco europeo di lunedì a Bruxelles, in particolare, verrebbe da dire, da parte di Angela Merkel, sempre più sola a livello europeo, sempre più sotto pressione a casa propria. Oggi Horst Seehofer, capo della Csu e governatore della Baviera si è incontrato a Budapest con il premier Victor Orban, avversario numero una della politica di accoglienza di Merkel. Settimana scorsa sempre Orban ha fatto sapere che terrà un referendum per far decidere agli ungheresi se vogliono accogliere 2.100 profughi dei 160 mila da ricollocare, oppure no. La visita di Seehofer a Budapest è stata l’ennesima scortesia da parte del capo della Csu nei confronti di Merkel.
L’Europa è sempre più divisa, sempre più chiusa dentro alle proprie frontiere. La Macedonia ha chiuso le sue frontiere con la Grecia. Vienna ha anche organizzato un vertice, al quale sono stati invitati tutti i paesi della rotta balcanica, eccetto la Grecia. Atene ha fatto sapere che non intende diventare un enorme campo profughi, Berlino si è mostrata piuttosto irritata della decisione austriaca.
Di immigrazione si è parlato oggi anche al forum sulla sicurezza organizzato dall’Osce alla Farnesina. A introdurre la giornata è stato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. “Garantire la sicurezza è un nostro dovere”, ha esordito il ministro, e il vertice straordinario turco europeo di lunedì sarà un momento importante di confronto “anche se non ci sono soluzioni rapide”. E certo chiudere le frontiere nazionali non contribuisce affatto a migliorare la situazione, anzi. Bisogna puntare sull’attuazione degli accordi già presi tra Bruxelles e Ankara. E per quel che riguarda Schengen, c’è un unico modo per preservare la libertà di movimento: “Bisogna superare gradualmente il modello Dublino e arrivare a un diritto d’asilo europeo”.
Più scettico sugli esiti del vertice di lunedì è Gjorge Ivanov, il capo di Stato macedone, che al Foglio ha detto: “Gli stati europei si muovono ancora con gli strumenti del XX secolo, mentre i trafficanti e gli scafisti sono ‘tecnologicamente’ molto più avanti, molto più capaci di sfruttare a loro vantaggio i network sociali e le nuove tecnologie. Per questo non sarà così facile sconfiggerli”. Alla domanda se la rotta dei Balcani, se le centinaia di migliaia di persone che cercano di arrivare in Europa lungo questa via, possono rinfocolare tensioni mai del tutto sopite tra gli stati dell’ex Jugoslavia, Ivanov ha risposto citando cifre: “Nel frattempo ci sono 5 mila foreign fighters in Europa, di cui 1.000 lungo la rotta balcanica”. Ed è a ben vedere bizzarro che l’Ue abbia nel passato ridotto gli investimenti nella sicurezza, mentre la Macedonia li ha aumentati. “Noi abbiamo investito 25 milioni di euro per rafforzare la sicurezza lungo le nostre frontiere. E non siamo nemmeno uno stato membro dell’Ue”. Certo, il capo di Stato non manca di far notare che la Macedonia si sta assumendo responsabilità a beneficio dell’Ue, pur non facendone parte. Anzi, pur essendo stata ripetutamente fermata, proprio dalla Grecia, a entrare nell’Ue e nella Nato. Chissà, forse c’entra anche la ruggine mai del tutto scomparsa tra Skopje e Atene a indurre il capo di stato a suggerire la creazione di un corridoio umanitario aereo tra Atene e il resto dell’Ue, attraverso il quale ricollocare i profughi. Un’idea giudicata – seduta stante – non applicabile da un rappresentante greco presente al forum.
[**Video_box_2**]Anche Michael Spindelegger, ministro degli Esteri austriaco dal 2008 al 2013 e da gennaio direttore dell’International Centre for Migration Policy Development, Icmpd, (del quale fanno parte 15 paesi, tra cui Bosnia Herzegovina, Croazia, Serbia), guarda con fiducia al vertice di lunedì, non ultimo perché potrebbe segnare un primo passo verso il disgelo tra Vienna e Berlino. Spindelegger non vuole però entrare in merito a questa disputa, lui si è ritirato dalla politica attiva nel 2014. E così si limita a far notare al Foglio che “l’Austria ha deciso di accogliere ogni anno un numero di profughi pari all’1,5 per cento della sua popolazione. Se tutti gli stati dell’Ue adottassero nei prossima quattro anni questa soluzione, avremmo alla fine, tutti insieme 7,4 milioni di profughi”. Ma non è tempo di polemiche, bisogna trovare soluzioni o per lo meno nuovi approcci, non ultimo per ritornare a dialogare costruttivamente. Ed è proprio questa una delle funzioni dell’Icmpd: promuovere il dialogo tra Ue e paesi non Ue toccati direttamente dal flusso di profughi e migranti. Anche perché, sottolinea Spindelegger “il fenomeno della migrazione ci accompagnerà d’ora in poi. Certo non saranno sempre profughi siriani, afghani, iracheni a volersi mettere in salvo in Europa. La grande sfida deve ancora arrivare e riguarderà i migranti provenienti dall’Africa”. E’ come se la crisi scatenata dalla guerra civile in Siria fosse giusto un periodo di addestramento in previsione di una sfida molto più grande che attende l’Unione europea.
L'editoriale dell'elefantino