Da che parte sta l'establishment nel referendum sulla Brexit? I calcoli complicati delle due campagne
Milano. La Regina è a favore della Brexit, seriously? Ieri il Regno Unito si è svegliato con lo scoop del Sun: Elisabetta II non ha nulla in contrario all’uscita del suo paese dall’Unione europea, perché l’Europa “sta andando nella direzione sbagliata”. Secondo il tabloid murdochiano, la Regina avrebbe confidato quest’indicibile pensiero al liberaldemocratico Nick Clegg, durante un pranzo al castello di Windsor nel 2011. Il panico ieri mattina era piuttosto alto a Londra, l’“exclusive bombshell” era sulla bocca di tutti, al punto che Buckingham Palace ha deciso di intervenire. Una smentita così rapida e puntuale da parte della corte inglese non è affatto consueta, ma si tratta pur sempre di una questione di sicurezza nazionale, e così il Palazzo ha fatto sapere che Elisabetta non ha mai detto una cosa del genere. Subito dopo anche Nick Clegg ha confermato: mai sentito un “nonsense” simile.
Come sempre in questi casi non si sa se poi resterà, nella memoria degli elettori che tra poco più di tre mesi dovranno dire la loro sull’Europa al referendum, più la bufala del Sun o la smentita troppo veloce dei reali inglesi. Certo è che i posizionamenti, in vista del voto, stanno facendo rimpiangere a David Cameron l’infausta decisione di indire questo referendum. Il calcolo del premier, che già era problematico nelle premesse, si complica ogni giorno di più: la campagna per il “remain” ha bisogno di un forte sostegno dell’establishment, ci vogliono segnali forti e decisi che facciano capire che la Brexit sarebbe la rovina del paese – rovina economica, d’immagine, di sicurezza. Allo stesso tempo però l’establishment non gode di grande favore in nessuna parte del mondo, tantomeno in Inghilterra, dove gli outsider stanno vivendo il loro momento d’oro. Così Cameron, mentre si fa garante di una posizione conservatrice, affidabile e rassicurante, deve anche rivendersi come capitano dei rivoluzionari.
[**Video_box_2**]Il Financial Times ha pubblicato ieri un sondaggio condotto da Ipsos Mori e commissionato dalla British Venture Capital Association, secondo il quale l’83 per cento delle società detenute da fondi di private equity è a favore della permanenza del Regno Unito nell’Unione europea (sono state sentite 200 compagnie). Più della metà degli intervistati dice che la Brexit danneggerebbe le prospettive di business. La rilevazione contrasta con le dichiarazioni dei manager degli hedge fund, che stanno contribuendo con finanziamenti a entrambe le campagne, del “remain” e del “leave”, e con il recente sondaggio della Camera di commercio inglese, secondo cui soltanto i due terzi delle aziende è contro la Brexit. All’interno dell’establishment c’è scompiglio: il direttore generale della Bbc, John Longworth, si è dimesso dopo essere stato sospeso per aver parlato in favore della Brexit.
Sul fronte politico, le divisioni sono più luccicanti, e segnalano movimenti delle dinamiche legate al referendum per ora ancora fuori controllo. I ministri “ribelli” e il sindaco di Londra stanno costruendo la campagna per la Brexit con dichiarazioni spettacolari dal punto di vista retorico – uscire dall’Ue è come uscire di prigione – ma che ancora hanno bisogno di numeri e fatti circostanziati per poter essere credibili. Ma intanto colmano il distacco tra élite ed elettorato, lasciando credere che la permanenza nell’Ue sia una scelta da burocrati retrò refrattari al cambiamento. Dove sarà l’establishment alla fine di questa avventura ancora nessuno sa dirlo.