Com'è che “the natural” è tanto triste? I guai di Marco Rubio
Milano. Marco Rubio è andato bene nell’ultimo dibattito elettorale dei candidati repubblicani, giovedì sera: è finito per una volta nel colonnino dei “vincitori” e ha tirato un sospiro di sollievo. Anche se solo per qualche istante: il pubblico era a suo favore, visto che l’incontro è avvenuto a Miami, in Florida, ma questo non vuol dire che alle primarie di martedì, nel suo stato, l’accoglienza sarà altrettanto calorosa. Anzi. Secondo la media dei sondaggi di RealClear, Donald Trump è al 39,9 per cento, contro Rubio al 25,2. Certo, da quando Bernie Sanders ha vinto, a sorpresa, il Michigan nelle primarie democratiche battendo Hillary Clinton, si è sparso un certo scetticismo nei confronti dei sondaggi che davano la Clinton con il 20 per cento di vantaggio. Ma il distacco di Rubio nei confronti di Trump è pur sempre di 14 punti percentuali, nello stato di origine del senatore che nelle premesse avrebbe dovuto essere una roccaforte contesa soltanto da Jeb Bush, se fosse arrivato fin qui. Invece.
I commentatori stanno cercando di spiegare come mai “the natural” rischia di saltare proprio nello stato in cui la sua storia, la sua freschezza, la sua abilità sono risuonate a livello nazionale. A dicembre, quando ancora tutto era possibile e Trump pareva una meteora destinata a esplodere presto, Benjamin Wallace-Wells scrisse sul New Yorker che Rubio aveva le caratteristiche da “the natural”: la retorica, la visione del mondo ottimista, la speranza di un cambiamento appiccicata addosso, il sogno americano (che in questa corsa elettorale sta prendendo forme invero strane). Ma questo poteva non essere sufficiente: come ripetono gli strateghi del presidente Barack Obama, che di “natural” se ne intendono, non basta avere un candidato fortissimo, servono volontari, attivisti ed elettori che sappiano riconoscersi in lui. Serve entusiasmo, insomma, e Rubio non ne ha tantissimo, al punto che qualcuno ha suggerito che forse il senatore non l’ha mai nemmeno cercata, la nomination.
Non è certo questo il momento per analisi psicologiche del candidato Rubio: oggi la sua ultima chance è in Florida. L’entourage di Ted Cruz, che lo insegue nei sondaggi, ha messo in giro la voce che Rubio voglia ritirarsi prima di martedì, per evitare l’umiliazione in casa. La campagna di Rubio risponde ironizzando, nella speranza di far scomparire il velo di depressione che è calato su “the natural”, ma circolano analisi impietose sul futuro. Le immagini dallo stadio di Hialeah, in Florida, hanno contribuito alla depressione: in un angolo del campo c’era un gruppetto di persone che ascoltava Rubio parlare, ma attorno c’era soltanto il vuoto. I numeri alimentano i toni dimessi: su venti primarie, Rubio ne ha vinte finora soltanto due, e in Michigan qualche giorno fa, ha ottenuto il 5 per cento dei voti. Il Washington Post ha spiegato che Rubio ha perso buona parte del suo vantaggio quando ha rinunciato alla gravitas presidenziale che aveva dato alla sua corsa.
E’ sceso al livello di Trump, involgarendosi, ma siccome non si può battere Donald nel suo campo, Rubio è finito per sembrare quel che diceva Trump: “Little Rubio”. Nate Silver, il guru dei big data elettorali (che in Michigan però ha sbagliato tutto), ha spiegato i tre problemi del senatore della Florida: il più importante è che “i suoi elettori più affidabili sono conservatori che vivono in mezzo ai liberal, un gruppo difficile su cui costruire una base elettorale”. Ecco perché Rubio, che è sempre stato considerato il più presidenziabile tra i repubblicani, “the natural”, in realtà non ha mai avuto una base. In Florida tutto può accadere, questa è una corsa elettorale folle, ma in futuro “un candidato ‘Rubioesque’ – dice Silver – potrebbe essere la definizione di un politico che è sempre la seconda di scelta di tutti”.