Così il magistrato che ha fermato Lula esaltava Di Pietro e Mani pulite
Roma. “La cosiddetta Operazione mani pulite ha costituito un momento straordinario nella storia contemporanea del Giudiziario”. “(In due anni) 2.993 mandati di cattura erano stati emanati, 6.059 persone erano sotto indagine, includendo 872 imprenditori, 1.978 amministratori locali e 438 parlamentari, dei quali quattro erano stati primi ministri”. “Partiti che avevano dominato la vita politica italiana del Dopoguerra… furono portati al collasso”. “Il processo di delegittimazione fu essenziale per la stessa continuità di Mani pulite”. “Sarebbe ingenuo pensare che processi efficaci contro figure potenti, come autorità governative o imprenditori, possano essere condotti in maniera normale”. Firmato: Sérgio Fernando Moro. Proprio il magistrato che ha disposto lo spettacolare accompagnamento coatto dell’ex presidente Lula in commissariato, dopo aver introdotto in maniera massiccia l’uso dei pentiti e della carcerazione preventiva per scavare nello scandalo sulle tangenti della società petrolifera di Stato Petrobras attraverso l’“Operação Lava Jato”.
La “Mani pulite brasiliana”, hanno spesso sbrigativamente tradotto i giornali italiani. E proprio l’ultima vicenda ha accentuato l’impressione di stare rivedendo un film già proiettato in Italia tra 1992 e 1994. Bene: non è un’impressione. “Considerações sobre a Operação Mani Pulite” è un saggio di sette pagine che comparve nel numero di luglio-settembre 2004 nella rivista di quel Conselho da Justiça Federal che è poi il Csm locale. Da lì abbiamo tratto gli stralci già citati, e quelli che seguono. “Una carcerazione preventiva è una forma per far risaltare la serietà del crimine e evidenziare l’efficacia dell’azione giudiziaria, specie in sistemi giudiziari lenti”. “I responsabili dell’operazione Mani pulite fecero ampio uso della stampa”. “La pubblicità conferita alle indagini ebbe l’effetto salutare di avvertire gli indagati in potenza sull’aumento della massa di informazioni nelle mani dei magistrati, favorendo nuove confessioni e collaborazioni”. “Le prigioni, le confessioni e la pubblicità conferita alle informazioni ottenute generarono un circolo virtuoso”.
Allora, Moro aveva appena 32 anni. Ma secondo Paulo Moreira Leite, direttore del giornale online 247 em Brasília quel saggio “definisce un modello di lavoro per il futuro prossimo e lascia intendere che è necessario ripetere un’indagine simile in Brasile”, tant’è che “come punto di partenza, il giudice cerca di stabilire varie somiglianze tra il Brasile e l’Italia”: dalla blindatura del sistema giudiziario al discredito dei partiti. A quel punto, spiega che ai giudici brasiliani manca solo di scoprire la potenza della carcerazione preventiva, dell’uso dei pentiti e dell’appoggio della stampa: un know-how che evidentemente nell’ultimo decennio è stato acquisito. Tant’è che lo scorso aprile Antonio Di Pietro in persona rilasciò un’intervista al giornale on line “O Antagonista” in cui riconosceva che Moro era ormai cresciuto abbastanza da poter andare avanti senza i suoi consigli.