“Quello dei cristiani in medio oriente è genocidio”. La Camera Usa chiede a Obama di non tentennare
Roma. La Camera dei Rappresentanti americana ha approvato con 393 sì (229 repubblicani e 164 democratici) e nessun contrario, la risoluzione che definisce “genocidio” quanto commesso dalle milizie jihadiste califfali tra la Siria e l’Iraq contro i cristiani e le altre minoranze presenti nel vicino oriente. La palla passa ora al Dipartimento di stato, che in virtù di un mandato del congresso, dovrebbe esprimersi al riguardo entro domani. La Casa Bianca – chiamata anch’essa in causa – già da un paio di settimane ha fatto sapere tramite il suo portavoce, John Earnest, che “l’uso della parola genocidio comporta una vera determinazione legale che al punto in cui ci troviamo non c’è”. Parere che aveva portato il primo firmatario della risoluzione, il repubblicano Jeff Fortenberry (eletto in Nebraska, nel collegio con la più alta concentrazione di yazidi in tutto il territorio americano), a replicare che “quando lo Stato islamico colpisce in modo sistematico cristiani, yazidi e altre minoranze etniche e religiose al fine di sterminarle, questa non è solo una grave ingiustizia, bensì una minaccia alla civiltà. Dobbiamo chiamare la violenza con il suo nome: genocidio”.
Nell’anno che porterà all’elezione del nuovo presidente, al rinnovo di un terzo del Senato e a quello completo della Camera, lo scopo del documento votato ieri a Capitol Hill – una risoluzione simile è in calendario al Senato – è di mettere pressione a Barack Obama e John Kerry. Ieri, il portavoce del Dipartimento di stato, John Kirby, ha comunque osservato che quanto approvato non è vincolante e che è improbabile che quel verdetto venga tenuto in grande considerazione nel determinare la posizione ufficiale della diplomazia statunitense. Lo speaker della Camera, Paul Ryan, ha esortato chi di dovere (Casa Bianca inclusa) a non traccheggiare, perché “mentre l’Amministrazione tentenna davanti alla fallimentare strategia adottata per sconfiggere lo Stato islamico, il popolo americano sta parlando in modo chiaro sulla questione”.
Negli ultimi giorni a intestarsi pubblicamente la battaglia in favore dei cristiani era stato Carl Anderson, capo dei potenti e influenti Cavalieri di Colombo, che nei mesi scorsi era anche stato ascoltato sulla questione alla Camera. La scorsa settimana, proprio Anderson aveva presentato un rapporto di 280 pagine in cui si illustravano le ragioni che giustificano l’uso della parola “genocidio” in riferimento a quanto avviene nelle regioni dilagano le milizie jihadiste. Il dossier era stato preparato in risposta a una richiesta giunta dal Dipartimento di stato, che fino a quel momento aveva in mano solo le valutazioni compiute sul campo dallo U.S. Holocaust memorial museum, che se da un lato aveva constatato la persecuzione a danno degli yazidi, dall’altro escludeva che la definizione di genocidio potesse essere applicata anche ai cristiani, costretti “solo” a “espulsione, estorsione o conversione forzata”. Già nelle prime righe del rapporto dei Cavalieri di Colombo viene tirato in ballo il segretario di stato John Kerry: oggi tentenna, ma nell’estate del 2014 – si legge nel documento – proprio lui aveva detto che “la campagna di terrore dello Stato islamico contro gli innocenti, comprese le minoranze yazida e cristiana, e i suoi assurdi e mirati atti di violenza hanno tutti gli allarmanti segnali e le caratteristiche del genocidio”. L’Amministrazione Obama, fin da quando s’è posto all’ordine del giorno il problema di attribuire tale qualifica a quanto avviene nel vicino oriente, ne ha fatto una questione prettamente giuridica e di semantica. E sarebbe proprio il diritto a far propendere per l’accoglimento della soluzione “soft”: genocidio per gli yazidi ma non per i cristiani. Mancherebbero le caratteristiche previste dagli statuti internazionali. Ma è su questo punto – più che sulla lunga serie di testimonianze e di prove raccolte, di cui comunque il rapporto abbonda – che ha puntato Anderson, evidenziando, tabelle alla mano, che sia sotto il profilo della giurisprudenza federale sia sotto quello internazionale di genocidio si può parlare. “Vogliamo essere chiari”, si legge in conclusione al dossier: “Non chiediamo stivali sul terreno. L’obbligo di proteggere e punire richiede creatività e coraggio, ma quest’obbligo inizia con un approccio ai fatti dettato dal buon senso, chiamando la realtà per quello che è”.
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