Questo è ciò che dovremmo aspettarci dal nuovo presidente della Birmania
Bangkok. “Mi sono laureato all’università di Rangoon”. In sud-est asiatico è un titolo d’onore. Se conseguito prima che la maggior città birmana fosse ribattezzata Yangon. Quando la Birmania era il paese più progredito della regione, con un reddito pro capite triplo dell’Indonesia e doppio della Thailandia. Prima che si trasformasse in uno stato paria dominato da una dittatura. Quel periodo si dovrebbe chiudere, formalmente e parzialmente, il 1° aprile prossimo, quando entrerà in carica il nuovo presidente Htin Kyaw, designato dalla National League for Democracy (Nld), il partito di Aung San Suu Kyi, che detiene la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le camere. E’ il primo civile dopo oltre cinquant’anni di militari.
Htin Kyaw è stato eletto presidente della Repubblica dell’Unione del Myanmar oggi, martedì 15 marzo. Nella stessa riunione plenaria del Parlamento sono stati eletti i due vice presidenti: l’ex generale Myint Swe, designato dai militari, e l’altro candidato della Nld, Henry Van Thio, in rappresentanza delle minoranze etniche (rispettivamente primo e secondo vice presidente, secondo il complesso sistema birmano). L’elezione di Htin Kyaw era già scontata da giovedì scorso, quando era stato designato come candidato ufficiale dalla Nld. Da allora le voci su di lui sono rimbalzate sui media di tutto il mondo in modo tanto confuso quanto incontrollato. Sia perché la Nld non ha comunicato una sua biografia, sia per le similitudini tra i nomi birmani, sia per le diverse e confuse traslitterazioni. Ciò che accomunava quasi tutti i commenti erano le definizioni di Kyaw come “burattino” e “autista” di Aung San Suu Kyi. Definizioni che i birmani hanno considerato più ridicole che offensive. Kyaw, infatti, ha scelto di rinunciare alla sua carriera accademica e di funzionario governativo per dedicare tutto se stesso alla Signora nel 1992, dopo che le elezioni vinte dalla Nld erano state annullate dai militari e Suu Kyi confinata agli arresti domiciliari. Da allora e fino al 2010, quando è stata rilasciata, oltre a essere il principale collaboratore della Daw Khin Kyi Foundation, la fondazione per lo sviluppo sociale che prende nome dalla madre di Suu Kyi, di fatto è stato il capo del suo staff e il suo collegamento col mondo esterno. A volte anche il suo autista, quando tale incarico significava rischiare la vita o la libertà. Come sedici anni fa, quando fu arrestato mentre la accompagnava fuori Yangon.
Per quanto l’uomo abbia mantenuto un basso profilo, restando all’ombra della Signora, ciò non significa che sia un personaggio di secondo piano. Classe 1946, ha frequentato la stessa scuola di Aung San Suu Kyi (di un anno maggiore). Dopo la laurea in Economia alla Rangoon University si è dedicato all’insegnamento e si è specializzato in Scienze informatiche all’Università di Londra. Tornato in Birmania, ha lavorato come analista al ministero dell’Industria e poi al dipartimento per le relazioni economiche con l’estero. Nel frattempo, oltre a dedicarsi alla scrittura, si è specializzato in management negli Stati Uniti. La sua famiglia è considerata parte dell’”aristocrazia” della Nld: suo padre, noto poeta, venne eletto nelle elezioni del ’90, suo suocero fu uno dei fondatori, sua moglie è una delle più ascoltate consigliere di Suu Kyi, membro del Parlamento e presidente del Comitato per le relazioni internazionali. Tutti, compresi i militari, riconoscono la sua integrità e la sua capacità di saper gestire con calma anche le situazioni critiche.
Kyaw, dunque, è stato designato perché incarna le doti fondamentali che, ha dichiarato Aung San Suu Kyi, deve avere il candidato alla presidenza della Nld: “lealtà, disciplina e competenze”. Il che non lo trasforma in un burattino. La Signora non ha mai nascosto di ritenersi “al di sopra del presidente”, posizione conferitale dal popolo birmano. “E’ stata lei a vincere le elezioni, non la Nld”, dice una fonte del Foglio. E poiché le trattative per emendare l’articolo della Costituzione che le impedisce di diventare presidente (in quando moglie e madre di cittadini stranieri) sono fallite, era inevitabile che scegliesse un uomo di assoluta fiducia, in grado di rappresentarla con efficienza e diplomazia nei rapporti col governo, con il Parlamento e con il partito.
All’interno della Nld, infatti, cominciano a manifestarsi voci di dissenso per quella che è chiamata “una gestione troppo centralizzata, verticistica, opaca”. In Parlamento bisogna far fronte alla rappresentanza dei militari, un venticinque per cento dell’Aula che ha potere di veto nelle questioni costituzionali e di fatto controlla il National Defense and Security Council. I militari hanno anche dimostrato di non essere troppo disponibili al cambio di guardia con la designazione del loro candidato alla presidenza: Myint Swe, 64 anni. Questo ex generale, molto vicino all’ex leader della giunta Than Swe, è un falco coinvolto in molte delle operazioni più oscure del regime quale capo dell’intelligence militare e responsabile della repressione della rivolta di Zafferano guidata dai monaci nel 2007. Inoltre, benché il governo americano abbia attenuato le sanzioni economiche verso la Birmania dopo le aperture democratiche del 2011, Myint Swe è ancora nella blacklist degli individui con cui non si possono fare affari stilata dal ministero del Tesoro americano.
Altrettanto delicata sarà la gestione dei rapporti col governo. Aung San Suu Kyi non ha comunicato se ne farà parte (secondo alcune voci si sarebbe riservata il ministero degli Esteri), ma ha già promesso che sarà un governo di riconciliazione e inclusione. Ne è simbolo il secondo vicepresidente designato dall’Nld: Henry Van Thio. Non solo perché è un rappresentante dei Chin (gruppo etnico stanziato nel nord-ovest della Birmania, al confine con l’India), ma anche perché è un ex militare. Il che può renderlo un possibile negoziatore in quella confusa trama di accordi, tregue, conflitti, interessi comuni e concorrenze d’affari tra minoranze etniche e governo che si intreccia da quasi sessant’anni. Alcuni hanno rilevato come una “curiosità” che Van Thio è cristiano (battista, per la precisione), ma ciò dovrebbe rafforzarne la posizione: molti gruppi etnici sono in gran parte cristiani (spesso finanziati da organizzazioni evangeliche americane).
Il nuovo governo birmano, Aung San Suu Kyi, il presidente e i vicepresidenti per il momento sono una sommatoria di simboli con tutte le luci e le ombre che caratterizzano questa parte di mondo. Il primo test sarà rappresentato dalla loro capacità di riconnettersi al resto del mondo, in termini strategici ed economici. Il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita del pil dell’8,4 per cento e il 25 marzo prossimo, altro simbolo, inizieranno gli scambi del Myanmar’s Yangon Stock Exchange, ma la Birmania resta ancora il paese più povero dell’Asia e dovrà fare i conti con una nuova regolamentazione del lavoro e salari minimi più alti. Secondo le stime della Asian Development Bank, affinché la Birmania emerga dal sottosviluppo saranno necessari investimenti per ottanta miliardi di dollari e ciò potrà accadere solo se sarà percepita come un mercato globale e sicuro, che a sua volta dipende dagli accordi tra militari, governo civile e minoranze etniche.
Un accordo, almeno tra militari e governo, sembra possibile soprattutto nella definizione dei nuovi equilibri strategici. Aung San Suu Kyi è per cultura più orientata all’occidente, mentre i militari contano ancora sul sostegno della Cina, ma entrambi sembrano volersi definire come ago della bilancia tra le due superpotenze. Secondo lo storico Thant Myint-U, “il Myanmar è all’incrocio tra sud-est asiatico, India e Cina. La sua stabilità è necessaria ai piani dell’Asean di una grande connessione con l’India. Per l’India rientra nella sua politica di “azione a est”. Per la Cina è il passaggio verso le connessioni con l’oceano Indiano”. In questa prospettiva, quindi, la Birmania potrebbe diventare la tessera fondamentale nel nuovo domino asiatico e americano. Tornare a essere ciò che era quando ci si vantava della laurea a Rangoon.
Questo il sogno di molti birmani. Anche se molti altri si chiedono già chi potrà gestire il cambiamento dopo Aung San Suu Kyi. Se lei stessa saprà sfuggire alle insidie del potere o se i poteri occulti non proveranno a eliminarla. Intanto, ha scritto Peter Popham, biografo di Suu Kyi, “il sogno comincia a realizzarsi”.