Il ritiro dei russi dalla Siria
Storia di un'irritazione molto discreta e recente tra Mosca e Damasco
Roma. Il presidente russo Vladimir Putin annuncia il disimpegno militare della Russia dalla guerra civile in Siria, ed è ancora presto per dire se si tratta di un ritiro in piena regola oppure di una semplice riduzione delle forze – almeno fino a quando non si saprà quanti aerei ed elicotteri russi restano in Siria. Ieri il Pentagono ha detto di avere visto “meno di dieci aerei lasciare” il paese, e si tratta di una quantità che non cambierebbe in modo sostanziale la natura e l’efficacia della presenza russa. Molti osservatori parlano di queste manovre militari come di un avvertimento in codice diretto dal leader russo al presidente siriano Bashar el Assad. Negli ultimi mesi il rais di Damasco si sta comportando un po’ troppo da free rider: si gode una rimonta militare trionfale – e insperata – sotto l’ombrello della copertura aerea schiacciante garantita da Mosca ma ne ignora le richieste politiche precise, aderire sul serio ai negoziati di Vienna. Il rapporto tra i due, tra Putin e Assad, non è mai stato investigato, anche per l’opacità che circonda entrambi. Ma dentro la coalizione 4+1, formata da Russia, Iran, Siria, Iraq e Hezbollah, c’è tensione, ed è in aumento a causa di una serie di problemi.
Il disaccordo discreto parte dai partner più importanti, Russia e Iran, che prendono le decisioni anche a Damasco. Il 5 marzo il giornale kuwaitiano al Jarida ha scritto che Putin ha bloccato l’esportazione del sofisticato sistema missilistico S-300 all’Iran perché Teheran ha violato l’accordo con Mosca, che vieta il trasferimento delle armi più avanzate al gruppo libanese Hezbollah.
Secondo l’articolo arabo, Putin ha deciso di punire gli iraniani perché ha ricevuto intelligence da Israele che prova lo spostamento di missili terra aria SA-22 all’alleato Hezbollah. Non solo: ai piloti russi in volo sopra la Siria succede di essere inquadrati nei radar di quei sistemi d’arma e ormai posizionati in Libano. Dal punto di vista tecnico, sono nel mirino elettronico dei sistemi di difesa missilistica che hanno portato loro.
Il giornalista israeliano Ben Caspit nota, due giorni dopo in un pezzo pubblicato dal sito Al Monitor, che il giornale kuwaitiano è utilizzato a volte dall’establishment di sicurezza di Israele per fare uscire notizie “senza lasciare impronte digitali”, e questo succede a partire dal ritorno di Benjamin Netanyahu al governo nel 2009. “Molti in Israele e in occidente guardano alle fughe di notizie pubblicate da al Jarida come provenienti da fonti israeliane, e questo tende ad aumentarne la credibilità”. Pochi giorni dopo l’agenzia russa Ria ha confermato che l’arrivo dei missili S-300 in Iran adesso è previsto per agosto o settembre, sei mesi dopo la data annunciata in precedenza. Vale la pena notare anche che all’inizio di gennaio, quando l’Arabia Saudita ha giustiziato quaranta prigionieri e fra loro anche l’imam sciita Nirm al Nimr, la Russia non ha commentato, mentre la tensione tra i sauditi e l’alleato iraniano esplodeva come mai è successo prima.
Anche la relazione russa con Assad mostra delle crepe. A febbraio il presidente siriano ha indetto elezioni parlamentari per mercoledì 13 aprile con un decreto presidenziale e la notizia è in pratica passata inosservata – non a Mosca. Poi ha detto in un’intervista con una televisione tedesca che riprenderà tutta la Siria. Entrambe le cose, le elezioni parlamentari e la riconquista militare di tutta la Siria, sono due ostacoli gettati sulla strada del negoziato di Vienna voluto e sponsorizzato anche dalla Russia, come simbolo della sua importanza sulla scena mondiale. Damasco si comporta come se Mosca non avesse preso un impegno chiaro con la comunità internazionale. La risposta a febbraio è stata alla Putin: il volto stesso del sostegno russo per la Siria alle Nazioni Unite, l’ambasciatore al palazzo di Vetro Vitaly Churkin, ha minacciato Assad di conseguenze serie in un’intervista a Kommersant. “La Russia ha investito molto seriamente in questa crisi, da un punto di vista politico, diplomatico e ora anche militare. Quindi vorremmo vedere Assad rispondere al nostro sforzo. La sua posizione non è in accordo con gli sforzi diplomatici che la Russia sta facendo”. Poi ha accennato con tre settimane di anticipo a quello che sta accadendo in queste ore: “Se in qualche modo lasciano il percorso dei negoziati – e questa è una mia opinione personale – allora potrebbe verificarsi una situazione molto difficile. Anche per gli stessi siriani. Perché qualsiasi sia la capacità di combattere dell’esercito siriano, sono state le operazioni aeree della Russia che hanno permesso ai soldati di tenere i loro nemici lontani da Damasco”. Senza di noi, avreste già perso la guerra.
Come nota Foreign Policy, il disimpegno russo sul fronte occidentale della Siria – quello contro i gruppi che non sono lo Stato islamico – potrebbe liberare risorse per la guerra finora snobbata contro lo Stato islamico. In queste ore c’è un’offensiva dell’esercito siriano contro Palmira, la città tesoro dell’arte nel deserto siriano, e aerei russi stanno bombardando le posizioni del gruppo estremista. L’impressione è che si sia aperta una competizione con la strategia anti Stato islamico intrapresa dall’Amministrazione americana, che con discrezione sta mietendo risultati importanti in direzione di Raqqa.
Washington appoggia quei combattenti misti, curdi e un po’ arabi, delle Forze democratiche siriane, che avanzano con più velocità contro gli estremisti. Sono ora a Shaddadi, dove il Pentagono sostiene di avere ucciso con un raid aereo del 4 marzo il comandante militare più carismatico del gruppo, Omar il ceceno. Ieri l’agenzia stampa dello Stato islamico, A’maq, ha smentito con un comunicato: “Non è stato neanche ferito”. Può essere che il ceceno sia illeso, ma in generale la strategia americana fatta di meno bombardamenti, però fondati su informazioni di intelligence e sulle indicazioni delle forze speciali a terra sta ottenendo risultati. L’irrilevanza americana sta lasciando il posto a una nuova fase. Per esempio, nel nord curdo della Siria sono in apertura due aeroporti militari gestiti dal Pentagono, preludio a nuove operazioni, e il mese scorso la Delta force ha catturato il capo dello Stato islamico che si occupa delle armi chimiche. L’azione è avvenuta a Tal Afar, a ovest di Mosul, in Iraq, che è il cuore del territorio controllato dai nemici. La cattura fa parte di un disegno di “guerra con intelligence” diverso dalla guerra di Putin, e rivela che lo Stato islamico a questo punto del conflitto è più vulnerabile di quanto si pensi.