L'ex capo del Mossad Meir Dagan è morto a 71 anni
"La vita rilassata del pensionato non faceva per Meir Dagan”, scrivono Michael Bar-Zohar e Nissim Mishal nel loro nuovo libro “Mossad”, in uscita il 30 ottobre negli Stati Uniti (in Italia prossimamente per Feltrinelli). Nei giorni scorsi si è tornato a parlare dell’ex capo del servizio segreto israeliano, il più leggendario 007 di Gerusalemme, dopo che è uscita la notizia che Dagan è caduto in coma per un trapianto di fegato a Minsk. Dagan, da mesi malato di cancro, lotta oggi per la vita in un ospedale bielorusso, secondo il Sunday Times protetto fino ai denti dal servizio segreto israeliano contro possibili ritorsioni da parte di cellule iraniane, dopo l’annuncio del presidente Alexander Lukashenka sul suo celebre ospite.
Tre anni fa, quando iniziarono a morire uno dopo l’altro gli scienziati iraniani addetti alle centrifughe nucleari, a Teheran sono apparsi manifesti che chiedevano la testa di Dagan. E’ stata chiamata la “taglia di Golia”. Il generale Dagan è uno dei pochi personaggi in Israele su cui veglia una sorta di intangibilità, così che molte attività del suo passato sono ancora protette dal segreto e dalla censura. E’ il “meccanico d’Israele”, come nel film con Charles Bronson del 1972. Nel 2008 il columnist di Haaretz Gideon Levy criticò il secondo canale televisivo che aveva nominato Dagan “uomo dell’anno”. “Il nostro uomo dell’anno è un assassino”, scrisse Levy.
Secondo la giornalista Ilana Dayan, “dal 2002 al 2011 Dagan si è ritenuto personalmente responsabile per la sicurezza di ogni israeliano e di ogni ebreo nel mondo”. O per dirla con l’enfasi di Bar-Zohar e Mishal, Dagan è “il Superman israeliano”. Soltanto Isser Harel, l’uomo che nel 1960 catturò in Argentina il gerarca nazista Adolf Eichmann, ha servito più a lungo di Dagan. Da responsabile di autobomba, avvelenamenti e guerre cibernetiche (“metodi che neppure la mafia o il servizio segreto cinese usano”), Dagan è diventato il principale oppositore del premier Benjamin Netanyahu sullo strike preventivo alle installazioni atomiche iraniane. E per adesso sull’Iran, la partita più fatale dal 1948 a oggi per lo stato ebraico, sembra averla spuntata Dagan.
La sua strategia è emersa da un telegramma in cinque punti all’ex sottosegretario di stato, Nick Burns: approccio politico, ovvero deferire l’Iran all’Onu; misure segrete; contro-proliferazione, ovvero impedire il trasferimento all’Iran di know-how e tecnologie nucleari; sanzioni economiche distruttive; fomentare un cambiamento di regime. E’ la cosiddetta teoria Dagan sul “collasso”.
Dopo aver lasciato il Mossad, Dagan è stato assunto a Zurigo dalla Arcanum Global, colosso multinazionale specializzato in informazioni nel campo della difesa e dell’energia. Assieme a Dagan è andato a lavorare in Svizzera Arusy Eitan, già portavoce dell’esercito israeliano, l’uomo che è riuscito a scoprire come nove banche occidentali, tra cui il Credit Suisse, abbiano aiutato l’Iran ad aggirare le sanzioni.
Il corpo di Dagan è stato ribattezzato “la road map delle guerre d’Israele”: una scheggia di un proiettile in testa e “vari pezzi di metalli qua e là”, compresa la spina dorsale. Dagan ha stroncato la prima Intifada a Gaza nel 1991 e nel 2002 Ariel Sharon lo scelse come capo del Mossad per la sua audacia durante la guerra dello Yom Kippur del 1973, quando fu il primo ufficiale a varcare il Canale di Suez. Si dice che Dagan abbia guidato le operazioni israeliane clandestine dentro l’Iraq prima della caduta di Saddam Hussein. Due reporter del giornale Yedioth Ahronoth, Yigal Sarna e Anat Tal Shir, hanno scritto che Dagan, prima dell’invasione del Libano del 1982, entrò in territorio nemico per fomentare gli attacchi terroristici e giustificare così l’invasione. L’esercito ha posto la censura su questa storia, che resta verosimile.
Come resta verosimile un altro “lavoro” attribuito a Dagan, anche se Gerusalemme nega, come da storica prassi. Gail Folliard e Kevin Daveron, “irlandesi”; Michael Bodhenheimer, “tedesco”; Peter Elvinger, “francese”, sono alcuni dei membri del commando israeliano che avrebbe assassinato, il 20 gennaio 2010, in un hotel di Dubai, Mahmoud al Mabhouh, alto esponente di Hamas legato al traffico d’armi con l’Iran. L’immagine dei killer ripresi dalle telecamere dell’albergo, che fece il giro del mondo, secondo alcuni ha sancito la fine del mandato di Dagan. “E’ uno dei migliori direttori, se non il migliore, che il Mossad abbia avuto in sessant’anni”, ha detto Ilan Mizrachi, ufficiale veterano dell’agenzia. Sotto Dagan, il Mossad ha fatto impallidire servizi segreti come la Cia, lo MI6 inglese, il tedesco Bnd e il francese Dgse. Chi lo conosce bene dice che la storia brutale di quest’ex ufficiale dell’esercito (che Ariel Sharon aveva soprannominato “The Cruel”) è pari al suo carattere mite e introverso. Vegetariano, Dagan ama dipingere, realizzare sculture e suonare il pianoforte. E’ nato nel 1945, prima ancora dello stato d’Israele, su un treno per deportati ebrei che correva in Unione sovietica. Il suo cognome, prima che lo ebraizzasse, faceva Huberman. Suo nonno è infatti quel celebre violinista ebreo di nome Bronislaw Huberman, che un giorno mise il violino nella custodia e cominciò un viaggio presso i musicisti più prestigiosi dell’epoca. Huberman disse loro: “Ho la sensazione che qualcosa di terribile stia per travolgere gli ebrei d’Europa. Chi se la sente venga con me a creare l’Orchestra ebraica di Palestina”. Chi non gli credette rimase in Europa e morì nei campi di concentramento. Chi invece lo seguì si trovò a suonare l’“Oberon” di Weber, la “Scala di seta” di Rossini, e la “Seconda sinfonia” di Brahms diretti da Arturo Toscanini in un hangar del porto di Tel Aviv.
Da quando ha preso posizione contro Netanyahu, Dagan è diventato un idolo dei liberal. Ma il suo curriculum parla di uno dei falchi più duri dell’establishment israeliano. Lo 007 vive a Rosh Pina, la magnifica località nel nord della Galilea israeliana e ha preso parte a tutte le dimostrazioni contro il ritiro dal Golan, fin da quando l’idea del disimpegno balenò nella testa di Yitzhak Rabin nel 1993.
Dagan e il ministro della Difesa, Ehud Barak, altro pezzo da novanta della sicurezza israeliana, si detestano. “Such a renowned, clever man”, quest’uomo così famoso e intelligente, dice Dagan ironico di Barak. “Gli incontri con Arafat a Camp David, i tentativi di fare la pace con Assad in Siria e il ritiro dal Libano che ha portato Hezbollah al nostro confine. Ogni sua decisione strategica quando era primo ministro è stata un fallimento”, aggiunge.
Dagan ha applicato all’Iran il metodo da lui inventato nei territori palestinesi: “sakum”, ovvero i targeted killing, gli omicidi mirati. Ha scritto il Guardian che “i palestinesi hanno memorie terribili di Dagan”. Dall’inizio della seconda Intifada a oggi, Israele ha realizzato 234 targeted killing. Sono molti i metodi inventati dallo staff di Dagan per eliminare i terroristi, compreso un modellino della moschea di al Aqsa di Gerusalemme imbottita di esplosivo. Gli obiettivi sono noti in gergo come “bombe a orologeria”. Le condizioni principali sono che l’arresto sia impraticabile, che gli obiettivi siano combattenti, che il governo approvi l’operazione, che minime siano le vittime civili e che si identifichino gli obiettivi come delle minacce future. Una operazione di Dagan è rimasta celebre perché Israele aveva la possibilità di eliminare in un solo colpo il “dream team” di Hamas: Islamil Haniyeh, Mohammed Deif, Adnan al Ghoul e Yassin. Si riunirono tutti assieme, ma visto l’alto numero di vittime civili, soprattutto bambini, che ci sarebbero state, l’esercito decise di abortire l’operazione. E’ fissato a 3,14 il numero “accettabile” di vittime civili per terrorista.
Dagan è stato uno degli architetti dell’alleanza in Libano con i falangisti cristiani, i responsabili del massacro di Sabra e Chatila. Una volta la spia ha detto di considerare il ritiro unilaterale dal Libano nel 2000 come “un affronto personale”. I peggiori cospirazionisti accusano Dagan di aver ucciso anche Yasser Arafat, della cui esumazione a Ramallah si discute da settimane per accertarne la morte per avvelenamento. “L’unica tragedia è che la sua morte non è arrivata prima”, avrebbe detto Dagan alla morte del leader dell’Olp. Durante l’ondata di attentati suicidi del 2001 in Israele, il governo di Ariel Sharon contemplò il cosiddetto “Piano Dagan”. Come scrive su Yedioth Ahronoth l’esperto militare Alex Fishman, “il piano era basato su due premesse: ‘Uno, Arafat è un assassino e non si negozia con un assassino. Due, gli accordi di Oslo sono il male più grande mai sceso su Israele, un male che deve essere distrutto’”.
La fama di killer di Dagan viene dall’epoca in cui il suo team operava sotto copertura nella Striscia di Gaza per eliminare i capi terroristi. Dagan e i suoi si vestivano da autisti di taxi o contadini arabi, si infiltravano nelle cellule islamiste e ne uccidevano i capi. Il libro di Bar-Zohar e Mishal racconta la spia da questi primordi. Dagan agiva spesso in compagnia del suo cane dobermann di nome Fanny. Lui, nelle rarissime interviste rilasciate alla televisione israeliana, ha sminuito simili particolari. “Non c’è alcuna gioia nell’uccidere, chiunque provi il contrario è uno psicopatico”, ha detto Dagan a Ilana Dayan, reporter del canale Due.
Uno dei piani di Dagan prevedeva l’utilizzo di cinquanta cani alsaziani da far penetrare nella centrale nucleare di Natanz, a cento chilometri da Teheran. I cani, addestrati nella copia della centrale di Natanz che il servizio segreto israeliano avrebbe ricostruito nel deserto del Negev, sarebbero stati equipaggiati di corpetti esplosivi e fatti esplodere con un comando a distanza. Avrebbero ricevuto copertura dagli uomini dell’unità israeliana “Shaldag”, gli stessi che parteciparono alla distruzione del reattore nucleare vicino a Baghdad, nel giugno del 1981, quando un commando puntò un raggio laser sulla cupola del reattore, che in questo modo fu centrata con matematica precisione dalle bombe teleguidate lanciate dagli aerei F-16 israeliani.
Una delle decisioni più importanti di Dagan è stato il potenziamento della “kidon”, la squadra di esecutivi del Mossad. Vengono dalla scuola del Mossad a Herzliya e hanno trascorso un lungo periodo di addestramento nel deserto del Negev. Si dice che soltanto il Csis, il potente servizio segreto cinese, abbia la stessa libertà di uccidere. Alcuni di loro sono esperti in armi chimiche come il gas sarin, e hanno lavorato per il Kgb o la Stasi tedesca, prima di essere arruolati dal Mossad alla caduta del Muro di Berlino. Dagan ha potenziato l’unità esperta in gas nervino Vx, i neurotossici inventati dai tedeschi negli anni Trenta (Soman, Tabun) e il Valium mischiato a un cocktail di sostanze narcotiche. Alcuni di questi metodi sarebbero stati usati per uccidere gli scienziati iraniani. Per capire meglio come muore un essere umano, Dagan ha inviato queste squadre a imparare il lavoro presso i patologi del Tel Aviv Institute of Forensic Medical Research. E poi da lì al laboratorio di Nes Ziona, dove gli israeliani studiano le armi chimiche e batteriologiche, località che ufficialmente non esiste sulla mappa e che gli aerei non possono sorvolare.
Dagan avrebbe spedito i propri uomini anche nella giungla venezuelana, nelle montagne della Colombia, nelle strade del Messico, fino al Cile e all’Argentina, ovunque ci fossero al Qaida o agenti iraniani. “Menume”, primo fra gli uguali, è l’espressione preferita da Dagan in compagnia dei suoi agenti. Per dieci anni Dagan ha smosso a ogni angolo del mondo i “neviot”, gli specialisti in sorveglianza; gli “yaholomin”, gli esperti in comunicazione; i “balder”, ovvero i corrieri; e gli esperti in “slick”, case sicure, e in “teuds”, i falsari. Si scopre così che Dagan aveva già pianificato l’uccisione dello scienziato pachistano Abdul Qadeer Khan, quello che ha venduto tecnologia nucleare alla Libia, all’Iran, alla Corea del nord e all’Iraq. Khan, il padre della “bomba di Allah”.
Si dice che il “capolavoro” di Dagan sia stato la distruzione del reattore nucleare siriano. “Dagan ha fatto un lavoro incredibile”, ha scritto di recente l’ex vicepresidente americano Dick Cheney. Nell’aprile del 2007 il capo del Mossad vola a Washington per incontrare i capi della sicurezza dell’Amministrazione di George W. Bush. “Distruggetelo, o lo faremo noi”, dice loro Dagan mostrando le fotografie del reattore che i siriani stavano costruendo ad Al Kibar. Di lì a poco i caccia israeliani avrebbero bombardato il sito atomico, senza però mai ammetterlo.
Nel 2008 a Damasco una bomba, si dice sempre confezionata da Dagan, uccide Imad Mughniyeh, il leggendario capo militare di Hezbollah che si era persino cambiato i connotati per sfuggire a Dagan. Al Mossad bastano tre operativi per la missione: “Pierre”, un francese di Montpellier che fa il meccanico; “Manuel”, uno spagnolo di Málaga che fa la guida turistica, e “Ludwig”, un tedesco di Monaco che fa l’elettricista. I tre avrebbero usato voli di linea diversi per raggiungere Damasco: il volo AF1519 della Air France dall’aeroporto parigino Charles de Gaulle, il volo RJ 110 della Jordanian Airlines da Amman e il volo AZ7353 dell’Alitalia dall’aeroporto di Malpensa. Nel loro cellulare, decrittata, c’è la fotografia di Mughniyeh dopo l’operazione chirurgica subita in una clinica della Stasi in Germania. Il 12 febbraio 2008 Pierre posiziona l’autobomba vicino al centro culturale iraniano dove sarebbe dovuto andare Mughniyeh. L’esplosione è micidiale e parti del corpo del “chief of staff di Hezbollah” vengono rinvenute a venti metri di distanza.
Altrettanto impressionante è stata l’eliminazione del generale Mohammed Suleiman, ucciso il 1° agosto 2008. L’allora capo della sicurezza di Bashar el Assad era seduto sulla terrazza della sua villa sulla costa siriana, a godersi la brezza insieme a un gruppo di persone invitate a pranzo. Nessuno si era accorto che un vascello navale era ancorato al largo, con un cecchino di Dagan sul ponte. Uno sparo, da grande distanza, fu sufficiente. Il generale rimase ucciso e gli ospiti illesi. Meir Dagan sapeva tutto sulla festa di Suleiman, a che ora sarebbe cominciata e in quale posto si sarebbe seduto.
Per otto anni l’Iran è stata la “principale ossessione” di Dagan. Sotto la direzione del celebre spione, Israele sarebbe stato responsabile dell’assassinio di numerosi scienziati iraniani, del virus Stuxnet che per mesi ha messo fuori uso le centrifughe che arricchiscono l’uranio e la vendita di componenti difettose per le centrali atomiche. “Senza Dagan, il programma nucleare iraniano sarebbe già stato completato alcuni anni fa”, ha scritto Al Ahram, il maggiore giornale egiziano. Grazie a Dagan, “gli iraniani hanno perso almeno un paio di anni nella costruzione della bomba”, calcola un ispettore dell’Agenzia atomica di Vienna. Ma nonostante abbia servito come suo advisor per il terrorismo, Dagan non ha goduto della piena fiducia di Netanyahu.
La rottura si consuma nel novembre del 2010, durante un meeting tra Barak, il primo ministro e i capi della sicurezza, fra cui Dagan. Fra sigari e whisky, il capo del Mossad dice ai presenti che l’attacco dal cielo contro l’Iran non si può fare, meglio distruggere il programma atomico a colpi di sabotaggi. Pochi giorni dopo le dimissioni, Dagan inizia una dura campagna pubblica contro la linea di Netanyahu, al punto che molti ministri lo vorrebbero vedere in tribunale per rispondere dell’accusa che un simile eroe di guerra non si sarebbe mai aspettato: “Tradimento”. Dagan ha risposto loro: “Che lo facciano, sarà divertente”.
Nel frattempo cresce il mistero attorno al corpo del più micidiale difensore d’Israele, ricoverato in un vecchio ospedale di fabbricazione sovietica. Quasi un ritorno alle origini glaciali di Novosibirsk e a quella fotografia che Dagan tiene in bella vista sulla scrivania: raffigura il nonno materno, Ber Erlich Sloshny, in ginocchio, immediatamente prima di essere assassinato a freddo da due soldati nazisti.
Dalle piazze ai palazzi