Il budget e il referendum
L'economia inglese è poco in forma. Senza l'Ue sarà peggio, dice Osborne
Milano. I giovani, la middle class, la competività delle aziende, l’Europa: il cancelliere dello Scacchiere britannico, George Osborne, ha basato la presentazione del suo budget, ieri, l’ottavo della sua carriera, su questi pilastri. Soprattutto: sulla volontà di non perdere il referendum europeo. Lo slogan “A budget for the next generation” è servito a Osborne per togliere l’attenzione dall’economia inglese, che non è più così scintillante come pareva soltanto nell’autunno scorso. Senza i numeri rassicuranti sull’occupazione, il budget sarebbe rimasto impigliato nella metafora temporalesca che lo stesso Osborne ha fatto alla vigilia della presentazione: le previsioni di crescita sono riviste al ribasso, e i conti non sono ancora in pari. Il miracolo occupazionale continua, la linea era crollata tra il 2010 e il 2012 e ora è in alto, più in alto di quanto fosse nel 2006: nell’ultimo anno sono stati creati circa mezzo milione di posti di lavoro. Ma le previsioni di crescita del pil sono state ridimensionate: 2 per cento per il 2016 (era al 2,4), 2,2 per cento per il 2017 (era al 2,5), e 2,1 per cento per gli anni successivi (era al 2,3). Il rapporto deficit/pil non è sceso quanto previsto, e anche se Osborne dice che entro il 2020 ci sarà un surplus di bilancio, il prezzo da pagare è un ulteriore taglio di 3,5 miliardi di sterline entro il 2020. Naturalmente questo vale se il Regno Unito resta nell’Ue: se così non fosse, nulla è detto, soprattutto non è detto che Osborne riesca a chiudere i buchi del bilancio.
Osborne ha citato le previsioni dell’Office for Budget Responsibility (Obr, organizzazione indipendente) con la postilla sull’Europa: “Un voto per lasciare l’Ue nel prossimo referendum (del 23 giugno, ndr), potrebbe portare il paese in un lungo periodo di incertezza”. Questo è stato il momento in cui il brusio ininterrotto della Camera dei Comuni è diventato uno sbuffo insistente: trascinare l’Obr nella campagna europea, dicono gli euroscettici, è stato un colpo basso. Ma le misure di Osborne “sono rivolte a quei target elettorali che secondo il cancelliere possono votare per il ‘remain’ al referendum – dice al Foglio Tim Bale, gran conoscitore della politica inglese e autore di numerosi saggi – In particolare la middle class con redditi relativamente buoni e i giovani. Ma non vuole nemmeno urtare troppo gli altri”, aggiunge Bale, “in sostanza vuole mobilitare chi lo aiuterà a restare nell’Ue, ma senza perdere il consenso di chi voterà per l’uscita”. Nell’incertezza, meglio non rischiare troppo.
George Osborne lascia Downing Street col team di funzionari del Tesoro con la valigetta che contiene i documenti sul budget da fare approvare alla Cmaera dei Comuni (foto LaPresse)
Tra le misure che ha introdotto Osborne, c’è quella thatcheriana di incentivo alle aziende medio-piccole: la loro tassazione sarà abbassata ulteriormente, al 17 per cento, entro l’aprile del 2020, la più bassa dei paesi del G20. Se si pensa che negli Stati Uniti l’imposta è al 39 per cento, risulta chiaro che il governo inglese insiste sulla sua capacità di attirare investimenti e aziende straniere. Osborne ha anche alzato il livello in cui i lavoratori devono iniziare a pagare il tasso più alto di imposte, così come ha alzato il reddito minimo individuale raggiunto il quale si iniziano a pagare le tasse. Ma se le imposte sul carburante e sul whiskey sono state congelate, a conquistare i titoli è stata la sorpresa del giorno, “una mossa storica” secondo il Telegraph: la “sugar tax”, la tassa sullo zucchero contenuto nei soft drinks (le bibite), che non può superare il 18/24 per cento per ogni litro. Con i soldi ottenuti da questa tassa – 530 milioni di sterline, nella stima del governo – saranno finanziati progetti sportivi nelle scuole e l’allungamento dell’orario scolastico (il fatto che la campanella non suonerà più alle 15.30 è in effetti un cambiamento storico). E’ questo, secondo Osborne, uno dei più grandi investimenti sulla “next generation”, ma in realtà le polemiche sono iniziate all’istante. Quella sullo zucchero è considerata dagli economisti una tassa sui poveri: “I più grassi si trovano nel 20 per cento meno abbiente dei britannici – scrive lo Spectator – I ricchi sono magri”. Le polemiche continueranno, ma a Osborne interessa mitigare l’effetto di dati poco rassicuranti, occhieggiare ai giovani e ricordare che senza Europa nulla sarà comunque possibile.