La questione mormona di Trump che agita le primarie repubblicane
Stasera il tour delle primarie arriva in Utah, lo stato della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Come tutti gli altri gruppi religiosi la chiesa non può ufficialmente sostenere o fare dichiarazioni a favore di un candidato. Però anche i mormoni, nel loro piccolo, si arrabbiano. Il prossimo a farne le spese potrebbe essere proprio Donald Trump, i cui problemi con i mormoni non sono nuovi. Tempo fa, per esempio, in un’intervista con McKay Coppins di Buzzfeed, Trump sostenne che la sconfitta di Romney alla scorse presidenziali fosse dovuta proprio alla sua “alien faith”. A Salt Lake City sono molte le criticità del candidato Trump a esser prese in considerazione: i suoi numerosi divorzi (intollerabili per chi pone il matrimonio come pilastro dell’esperienza civile e di fede), la personalità “di plastica”, il continuo distanziarsi dai princìpi dello stato minimo, le posizioni sull’immigrazione.
Soprattutto destano ansia i numerosi attacchi frontali a quello che per la Chiesa rappresenta un diritto non negoziabile: la libertà religiosa. Le conseguenze di questo mormon problem si sono già viste di recente. L’Idaho è il secondo stato per percentuale di mormoni residenti, il Wyoming è il terzo: Trump ha perso in entrambi gli stati raccogliendo solo il 28,1 per cento dei consensi in Idaho e il 7,2 in Wyoming. Gli ultimi sondaggi prevedono una nuova slavina diretta su Trump dalle montagne dello Utah, lo stato con la percentuale più alta di mormoni residenti, nei caucus che si terranno stasera. Gli ultimi sondaggi arrivano a ipotizzare Ted Cruz sopra il 50 per cento dei consensi, lanciatissimo dopo la preferenza espressa per lui da Mitt Romney. Quest’ultima mossa dovrebbe far riflettere, viste le relazioni non sempre pacifiche tra mormoni e conservatori evangelici. La chiesa non ha mai preso una posizione ufficiale, tuttavia subito dopo la proposta di Trump di vietare l’ingresso ai fedeli di religione musulmana ha rilasciato un comunicato in cui, senza menzionare il destinatario, ribadiva l’impossibilità di restare neutrali su un tema fondamentale come quello della libertà religiosa. La proposta di Trump ricorda troppo quella dell’Amministrazione del Presidente Rutherford B. Hayes, e del suo segretario di Stato William Evarts, che il 9 ottobre 1879 chiese ufficialmente agli ambasciatori in Gran Bretagna, Germania, Norvegia, Svezia e Danimarca di impedire l’arrivo di mormoni dall’Europa agli Stati Uniti in quanto avrebbero costituito una minaccia per l’ordine pubblico. Da dicembre è stato un crescendo e l’accerchiamento è continuato. Certo, anche tra i mormoni c’è chi sostiene Trump, ma quando l’establishment della chiesa comincia a produrre uno stillicidio di comunicati e dichiarazioni che indirettamente lo criticano, quando Mitt Romney, massimo esponente del mormonismo in politica, decide di schierarsi apertamente e quando i risultati di Idaho e Wyoming parlano da soli, non siamo davanti a un insieme di coincidenze.
Negli ultimi giorni Deseret News, quotidiano semi-ufficiale della chiesa, ha cominciato a cannoneggiare contro Trump definendolo in un recente editoriale come “The Anti-Republican”, “una minaccia” che non rispetta la tradizione del partito di Lincoln e Reagan. Esiste quindi un mormon problem per Donald Trump. Ancora non sappiamo se sarà sufficiente a impedirgli di evitare una brokered convention, ma c’è un paradosso tutto politico che merita un ulteriore approfondimento sulla base di quello che succederà questa sera in Utah. Secondo una ricerca del 2014 del Pew Research Centre, sono proprio i mormoni i più fedeli elettori repubblicani: il 70 per cento contro il 19 che dichiara di votare per il partito democratico, l’11 si dichiara indipendente. Eppure gli stessi mormoni sono i più fermi oppositori di quello che potrebbe essere il candidato più votato dagli elettori repubblicani. Secondo la profezia del “cavallo bianco”, mai ufficialmente riconosciuta dalla chiesa, un giorno sarebbero stati i mormoni a salvare la Costituzione e i valori statunitensi. In molti a Salt Lake City credono che sia arrivato almeno il momento di salvare il partito Repubblicano.