Il nostro realismo imbecille è il bilancio dell'ennesima mattina dopo
L’Europa dunque esiste, ha una capitale, tant’è vero che la sua capitale è stata colpita con metodo. Bisogna decidere se quando l’Europa è colpita, a Parigi, a Bruxelles, in qualunque altra sua città, siamo davvero colpiti tutti. C’è in Italia una diffusa idea di “sacro egoismo”: ce la caveremo, finora, perché ci asteniamo, più o meno, dall’esporci troppo. (L’altra ipotesi è che la nostra intelligence sia più efficace: auguriamoci che sia fondata). Una simile idea comporterebbe che Bruxelles si sia tirata addosso il massacro di ieri arrestando, sia pure con un vistoso ritardo, Salah Abdeslam: dunque se ne poteva fare a meno.
Naturalmente questa è solo una esemplare fesseria, e del resto Salah Abdeslam e il suo avvocato e i suoi ritrattisti hanno tutta l’aria di essere un clamoroso bidone. L’Europa dunque, la quale è Una e Ventottina, e su questo fronte soprattutto Ventottina. L’Europa ha cercato di rimpannucciare l’ordine sparsissimo in cui ha affrontato la nuova fase del conflitto universale, quella aperta dall’inizio della guerra civile siriana, che ha ormai superato il lustro, chiamando realismo la propria renitenza alla leva. Cinque anni, ed ennesime mattine dopo come quella di oggi, dovrebbero bastare e avanzare a tirare uno straccio di bilancio.
Ce n’è già abbastanza per constatare che il realismo (o la sua parodia, se volete) abbia prodotto un disastro? Facciamo l’ipotesi che il realismo malinteso travesta due qualità essenziali: il cinismo e l’imbecillità. Il cinismo riguarda l’inerzia assoluta con cui anche l’Europa, unita e sparpagliata, ha lasciato per cinque anni che la catastrofe siriana (e irachena) si andasse compiendo, con un record di vittime sempre più orrendo: almeno 270 mila ammazzati, mutilati e feriti innumerevoli, quasi dodici milioni di cacciati (ridicolmente distinti fra sfollati e profughi, una volta cancellati i confini), un’avanzata genocida contro yazidi, cristiani, turcomanni sciiti, curdi e altri sunniti resistenti. L’imbecillità riguarda i frutti politici della lunga inerzia: una guerra jihadista cresciuta fino a farsi stato, a guadagnarsi un vasto territorio e a dare al proprio proselitismo planetario un appeal senza precedenti, a fare di ogni paese il campo di un terrore largamente autoctono, e infine a sequestrare la libertà politica degli stati europei di fronte all’onda di fuggiaschi, più annunciata e inesorabile di qualunque crollo della diga di Mosul.
Dunque un’Europa realista ha cinicamente negato il soccorso a molti milioni di esseri umani, e ha ottusamente causato l’avvento dal quale oggi si sente sopraffatta, al punto di offrire all’Erdogan intollerante e islamista quello che tanti anni fa negava a una Turchia, e allo stesso Erdogan, ancora in bilico. Infine, ha assistito alla replica siriana dell’impresa di Putin in Crimea e nell’est dell’Ucraina, che era di sua specifica competenza, ha visto crescere l’offensiva jihadista in Africa e nel Maghreb… Il fatto è che per una volta questa politica europea – questa abdicazione a una politica – si è progressivamente attuata in una concordanza fra governi, apparati buro e tecnocratici, e popolazioni: un pullulare di sacri egoismi cinici e imbecilli. Questo bilancio non deve sorprendere: non c’è una sola minaccia incombente sulla terra o su sue parti che venga affrontata con intelligenza, umanità e lungimiranza. La lungimiranza in particolare sembra aver disertato le menti contemporanee: sconosciuta alle autocrazie, che vivono voracemente di repressione e rimozione, è sempre più evitata dalle democrazie, che vivacchiano di sondaggi e affanni elettorali. Più profondamente, è estranea a una universale cultura prevalente oppressa da un orizzonte tetro e ravvicinato e rifugiata nella festicciola o nel fanatismo del presente. Facendosi per definizione tutto troppo tardi, per tutto si può credere o fingere di credere che non sia troppo tardi. Fare un bilancio, la mattina dopo Bruxelles, ennesima mattina dopo, cui altre seguiranno, del realismo, del cinismo e dell’imbecillità
L'editoriale dell'elefantino