Le mille e una Molenbeek d'Europa
Roma. “Mini califfati”, aree “no-go”, come vengono chiamate, dove regna un misto di anarchia e di sharia, da cui pianificare attacchi in Europa, come quelli che hanno inginocchiato Bruxelles, o istruire le carovane del jihad in medio oriente. In Europa ci sono decine di Molenbeek. Società segregate frutto delle politiche di multiculturalismo che hanno incoraggiato la ghettizzazione e la radicalizzazione islamica.
“In tante capitali europee esistono oggi società semi-autonome”, dice al Foglio Douglas Murray, esperto inglese di immigrazione e direttore della Henry Jackson Society. “A Molenbeek, più che l’arresto di Salah Abdeslam, mi ha molto colpito la protesta della popolazione durante il raid. Non volevano che un terrorista genocida venisse rimosso dal loro quartiere. L’immigrazione tende a concentrarsi per realtà omogenee. Ma qui siamo di fronte a un fenomeno nuovo: la segregazione autoimposta in grandi città. Da Birmingham a Malmö, c’è il rifiuto dell’assimilazione. Questo non pone un problema per milioni di esseri umani che adesso arrivano in Europa senza voler diventare europei?”. In Inghilterra, gli islamisti farneticano di un piano per la conversione di dodici città in emirati. E’ la pancia del “Londonistan”, di cui fanno parte Birmingham, Bradford, Derby, Dewsbury, Leeds, Leicester, Liverpool, Luton, Manchester, Sheffield, Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della capitale. Quartieri dove i manifesti ti avvertono che “stai entrando in una zona controllata dalla sharia”.
Nei giorni scorsi, le forze di sicurezza hanno simulato a Londra dieci attentati simultanei (a Bruxelles la realtà ci è andata vicina, in difetto solo di numero). In Francia sono chiamate “Zus”, Zones urbaines sensibles. Secondo il ministero dell’Interno francese ce ne sono 751 e ci vivono cinque milioni di musulmani.
Ora gli occhi dei servizi sono puntati su Sevran, la banlieue dove l’islam prospera nel terreno fertile del comunitarismo (50 mila abitanti, 73 nazionalità e il 90 per cento della popolazione di origine straniera). Bruxelles non è soltanto Molenbeek. La polizia e gli assistenti sociali spesso neppure entrano nel distretto di Kuregem, per fare un esempio.
L’Olanda ha una lista di quaranta zone a rischio. Il distretto di Kolenkit, ad Amsterdam, è considerato il “problema numero uno”. Poi, a Rotterdam, ci sono i quartieri di Pendrecht, Het Oude Noorden e Bloemhof. Utrecht svetta con la zona di Ondiep. Nella capitale, l’Aia, c’è lo “sharia wijk”, il distretto della sharia che sorge a Schilderswijk. Qui aveva base il gruppo Hofstadt, che ha pianificato l’assassinio del regista Theo van Gogh.
A Copenaghen il sobborgo di Tingbjerg è la prima “zona sotto il controllo della sharia”. In Svezia c’è il caso di Malmö, già oggi al trenta per cento islamica, resa famosa da quartieri come Rosengaard, un progetto di case popolari pensato negli anni Sessanta per gli immigrati. Il quartiere è stato tappezzato da poster con scritto: “Nel 2030 prendiamo il controllo”. La Germania ha uno dei più grande ghetti a Neukölln, dentro la capitale Berlino, “il principato ottomano” dove le donne islamiche camminano qualche passo indietro agli uomini e le chiese sono vendute ai musulmani per farne moschee. La polizia di recente ha compiuto un raid nel quartiere per sventare i piani dell’Isis.
Base ideologica per questa segregazione urbana e violenta è un testo di Abu Musab al Suri dal titolo “Resistenza islamica internazionale”. Siriano che ha vissuto a Londra, Suri ritiene che i musulmani in Europa, anche se sempre più numerosi, si sentano isolati e sotto pressione, e va sfruttato per creare una “ripartizione della società” e fomentare l’insurrezione. E’ il modello Molenbeek. E’ il carnaio che si consuma sotto i palazzi della Nato e della Ue.