L'ambigua zona grigia
"Le leadership arabe devono assumere posizioni chiare sul terrorismo", dice Fassino
I drammatici eventi di Bruxelles ripropongono con ancora maggiore urgenza la necessità di una strategia adeguata a fronteggiare l’offensiva terroristica che – dall’attentato delle Torri gemelle di New York a oggi – rappresenta la maggiore insidia alla sicurezza e alla pace internazionale. Ogni semplificazione rischia naturalmente di essere velleitaria o illusoria. E i fronti su cui agire sono più di uno. Qui ne voglio richiamare almeno tre. Un tema ineludibile è il superamento dell’attuale frammentazione di politiche nazionali, superando una contraddizione sempre più vistosa: gli stati europei sono pronti a mettere in comune le “convenienze” – l’euro, il mercato unico, la libera circolazione – ma non accettano di fronteggiare insieme i rischi e continuano a coltivare l’illusione di poter gestire dossier cruciali – la politica estera, la politica di difesa, la sicurezza interna, l’immigrazione – sulla base di sole politiche nazionali. I clamorosi buchi emersi nell’azione dell’intelligence antiterrorismo di questo o quel paese, sono lì a dirci quanto sia esiziale continuare su quella strada. Torna prepotente il vero nodo: la ragione della debolezza europea sta in un deficit di sovranità delle istituzioni dell’Unione, che può essere colmato solo se i soci dell’Unione – gli stati nazionali – si convincono finalmente a trasferire una quota della loro sovranità esclusiva a vantaggio d’una sovranità europea comune, capace di dare a problemi comuni soluzioni condivise. E’ un tema cruciale che vale per la politica estera e di difesa, per l’azione di intelligence e sicurezza, per le politiche migratorie. Ma vale anche in campo economico dove a euro e mercato unico non hanno corrisposto fino a oggi politiche fiscali comuni, né comuni regole per gli investimenti.
Un secondo fronte non meno cruciale riguarda l’atteggiamento delle leadership arabe nei confronti del terrorismo. E’ sotto gli occhi di tutti una evidente difficoltà delle classi dirigenti di quei paesi ad assumere atteggiamenti netti e espliciti ogni volta che un attentato terrorista colpisce un città dell’occidente. La preoccupazione di non essere compresi dalle proprie opinioni pubbliche e, anzi, di essere percepiti come vassalli dell’occidente – tema su cui la propaganda dell’estremismo islamico batte costantemente – favorisce il formarsi di una “zona grigia” riassumibile nella formula “né con i terroristi né con l’occidente”. E’ un’ambiguità su cui conta l’estremismo radicale che fonda la sua azione proprio sul teorema dell’insanabile conflitto occidente-islam. Aiutare le leadership arabe – e in primo luogo le più aperte e moderate – a liberarsi del “ricatto dell’appartenenza” per assumere posizioni chiare e nette consentirebbe di dare vita davvero a una coalizione antiterrorismo larga e plurale e destituirebbe di fondamento la tesi del conflitto di civiltà, rendendo chiaro come oggi il conflitto non sia tra occidente e islam, ma tra chi vuole un mondo fondato sulla convivenza, il diritto, il pluralismo, e chi invece lo vuole precipitare nell’intolleranza, nella sopraffazione e nella negazione dei diritti.
Per altro, questo tema è un nodo che si ritrova anche nelle comunità islamiche delle città occidentali, come dimostra il fatto che l’organizzatore degli attentati di Parigi abbia potuto nascondersi per mesi nel quartiere a maggioranza islamica di Molenbeek. E ciò propone un terzo fronte, per noi europei ancora più problematico. Gli organizzatori degli attentati sono giovani nati nelle nostre città, lì sono vissuti e lì hanno maturato il rifiuto della società in cui sono cresciuti. E’ un tema cruciale che ci interroga su come si debba perseguire integrazione e convivenza, su come contrastare il formarsi nelle banlieue delle nostre città il formarsi di sacche di emarginazione e estraneità su cui agisce l’azione di reclutamento del jihadismo.
Ho evocato questioni complesse, nessuna di semplice soluzione. E tuttavia è solo sciogliendo nodi spessi che si potrà mettere in campo azioni e strategie in grado di garantire la sicurezza e la vita dei cittadini e la stabilità del pianeta.