Pacifico atomico. Perché al Nuclear summit si parla di Asia
L’ultima occasione. Non è lo slogan del Nuclear Summit che si chiude oggi a Washington, ma il titolo del video di propaganda pubblicato sabato scorso dal canale YouTube D.P.R.K. Today, uno dei canali ufficiali del governo di Pyongyang. Protagonista de “L’ultima Occasione” è, non a caso, la città di Washington. Nella sceneggiatura nordcoreana, la capitale americana viene raggiunta da un missile: “Se gli imperialisti americani muoveranno un dito contro di noi, noi li colpiremo immediatamente con il nucleare”. Il Nuclear summit, voluto dall’Amministrazione Obama sin dal suo insediamento, è al suo quarto e ultimo appuntamento. Il tema centrale del vertice è la non proliferazione e la sicurezza atomica, ma a influenzare la discussione, più del pericolo di uno Stato islamico nuclearizzato, c’è l’Asia. In particolare, gli incontri tra i leader di Cina, Giappone e Corea del sud, alla ricerca di una nuova strategia per contenere il programma nucleare della Corea del nord. Ieri Barack Obama ha avuto un faccia a faccia con il presidente cinese Xi Jinping. La Cina è considerato l’unico paese in grado di esercitare una pressione su Pyongyang, ma gli alleati americani, Giappone soprattutto, sono preoccupati anche dalle tensioni create da Pechino nel Mar cinese meridionale e orientale. Un occhio chiuso sull’assertività cinese nell’area potrebbe essere la moneta di scambio per un’azione più incisiva di Xi contro Kim Jong-un, che continua a testare regolarmente missili e a minacciare attacchi “preventivi” contro Seul e Washington.
Effetto Trump. Il Nuclear summit si chiude anche con l’eco delle parole del candidato repubblicano Donald Trump che ha gelato gli alleati americani in Asia. Trump ha detto che l’America spende troppo per difendere altri paesi, soprattutto il Giappone e la Corea del sud, “che in teoria stanno meglio di noi”, e ha aggiunto che la cosa migliore per Tokyo e Seul è quella di dotarsi di armi nucleari. Attualmente 54.000 uomini delle Forze armate americane sono di stanza in Giappone, 28.500 in Corea del sud. In Giappone la maggior parte delle basi statunitensi è nell’arcipelago di Okinawa, un luogo strategico che permette all’America di controllare la Corea del nord e la Cina, ma con alti costi per i residenti giapponesi. Per la Casa Bianca, l’ipotesi di una nuova corsa agli armamenti in Asia sarebbe “destabilizzante”, e il governo giapponese e quello coreano hanno sottolineato l’importanza strategica dell’alleanza con Washington. Obama ha presieduto ieri un incontro trilaterale con il primo ministro giapponese Shinzo Abe e con la presidente sudcoreana Geun-hye Park.
Un nuovo Giappone. Martedì scorso è entrato in vigore il pacchetto di leggi che modifica l’interpretazione dell’articolo 9 della Costituzione nipponica, quello che vieta al paese di avere un esercito e di utilizzare le Forze di Autodifesa se non dopo attacco diretto sul territorio. Con le nuove leggi, in realtà, cambia poco. Il Giappone potrà correre in aiuto degli alleati (leggi: Stati Uniti) o svolgere attività di difesa marittima, supporto logistico, anche al di fuori del proprio territorio. Ma Abe deve aspettare, la riforma costituzionale è osteggiata in patria e all’estero: “Spero che in Europa ci sia stata una giusta comprensione della nuova interpretazione della Costituzione”, dice in un’intervista con il Foglio Masato Otaka, portavoce del ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida. “Ho sentito persone che credono che il Giappone si stia trasformando in un paese aggressivo, ma non è vero. Il Giappone è attento al suo contributo alla pace. Con la nuova interpretazione dell’articolo 9 possiamo fare piccole cose in più di prima, non è un cambiamento drastico. Speriamo di essere più veloci ed efficaci nel peacekeeping, ma non abbiamo intenzione di essere aggressivi”. In Giappone l’estremismo islamico è un fenomeno sconosciuto, ed è difficile prevedere un coinvolgimento nipponico nella guerra al terrorismo globale. Il tradizionale isolazionismo di Tokyo, però, con la nuova politica di Abe, sta iniziando a cambiare. Non è un caso se durante l’incontro a Roma il 19 marzo scorso tra il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e l’omologo giapponese Fumio Kishida, l’accordo principe sia stato quello sullo scambio di informazioni. Tokyo ha bisogno di intelligence sul medio oriente: finora tre giornalisti giapponesi sono scomparsi in Siria, i primi due uccisi dall’Is lo scorso anno, mentre il terzo, Junpei Yasuda, sarebbe ostaggio del Fronte al Nusra. Con l’attuale Carta, il Giappone non potrebbe organizzare una missione per la sua liberazione: “La riforma costituzionale”, dice al Foglio Otaka, “prevede un percorso molto lungo, e penso che i giapponesi non abbiano ancora capito bene il significato e le implicazioni della nuova interpretazione. Personalmente credo che ci sia bisogno di un po’ di tempo per comprendere la nuova interpretazione, per capire cosa potrebbe portare al paese”. Nel frattempo, però, Kim Jong-un provoca: “La Corea del nord ci pone tre problemi: il nucleare, i missili, e i rapimenti. Stiamo facendo tutto il possibile per fare progressi positivi sui rapimenti. Le nuove sanzioni del Consiglio di sicurezza, oltre alle altre sanzioni individuali dei paesi, stanno provando a fare qualcosa che non era mai stato fatto. Sono sanzioni severe, e penso che la Corea del nord sentirà la pressione. Se queste cambieranno l’attitudine e la politica nordcoreana? Staremo a vedere”, dice Otaka.
L’Italia in mezzo. Anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi è tra i partecipanti del Nuclear summit. L’Italia vive le alleanze asiatiche in modo complesso. Da una parte, il governo tiene all’amicizia con il Giappone e “accoglie con favore tutti gli investimenti giapponesi, compreso quello di Hitachi”, ha detto Gentiloni. Ma il circuito mediatico-giudiziario che ha colpito la società giapponese, dopo la decisione della Consob di bloccare l’Opa su Ansaldo, rischia di far saltare altri investimenti nipponici in Italia. D’altra parte, fu proprio Gentiloni a partecipare il 3 settembre 2015 alle celebrazioni a Pechino per la fine della guerra:.“L’area dell’Asia-Pacifico ha le sue opportunità e le sue sfide. Penso che l’Europa comprenda bene la parte dell’opportunità, ma forse alcuni paesi sono meno preoccupati dalle sfide, e non capiscono le implicazioni che hanno sugli stati europei. Lo sforzo di cambiare lo status quo usando l’intimidazione, la forza, o la pressione militare, può incoraggiare altri paesi a fare lo stesso. Non è un problema isolato”, dice Otaka riferendosi al rapporto tra i paesi europei e la Cina. E aggiunge: “Ogni paese ha la sua strategia. Niente può essere risolto senza un coinvolgimento effettivo con l’altro. Forse il ministro Gentiloni aveva una strategia, e la sua visita aveva un significato. Tutti i rappresentati che sono stati in Cina il 3 settembre lo hanno fatto conoscendo l’occasione, ma hanno cercato di non mandare il messaggio sbagliato, scegliendo con cautela gli eventi a cui partecipare. Sono sicuro che Gentiloni ha fatto lo stesso”.