Ci mancava l'Isis. Tutte le piaghe che ostacolano Rio 2016
Roma. C’è un giudice a Berlino, disse nel Settecento il famoso mugnaio tedesco. C’è un Supremo Tribunale Federale a Brasilia, si potrà dire in questo 2016, dopo che ha deciso per otto voti contro due di avocare a sé le indagini sull’ex presidente della Repubblica Lula, togliendole al giudice Sérgio Moro. Equivalente alle nostre Corte costituzionale e Cassazione messe assieme, è quello stesso Supremo Tribunale Federale che ha annullato la nomina di Lula a ministro, dimostrando che non si tratta di un organo insabbiatore. Ma perfino il giudice di Curitiba ammiratore di Di Pietro e idolo della piazza brasiliana aveva ammesso di aver esagerato, nel momento in cui si scusava dinanzi all’alta corte: “Non mi ero reso conto di stare violando la legge quando ho divulgato le intercettazioni delle conversazioni tra Dilma e Lula”, aveva più o meno detto.
In apparenza, è un punto a favore per Dilma Rousseff, proprio nel giorno in cui è riuscita a portare in piazza mezzo milione di manifestanti contro quello che definisce un “tentativo di golpe”. Ma sono di meno rispetto ai quasi due milioni che il Pt era riuscito a far marciare lo scorso 18 marzo. A ogni modo, il Supremo Tribunale Federale non ha affatto detto che le intercettazioni non sono utilizzabili. Come ha però spiegato il giudice relatore Teori Zavascki nel tirare le orecchie a Moro, “eventuali eccessi che si possono commettere, con le migliori intenzioni di accelerare lo svolgimento delle indagini, possono portare proprio al risultato contrario”. Dal punto di vista politico, la decisione del vicepresidente Michel Temer di spingere il suo partito (Movimento democratico brasiliano, Pmdb) a passare all’opposizione, ha lasciato Dilma Rousseff senza maggioranza in Congresso. E’ una mossa che accelera l’impeachment, in seguito al quale sarebbe lo stesso Temer a succedere alla presidenza. Un disegno che Lula ha provato a smontare, annunciando verso il Pmdb un aggressivo scouting, che in effetti aveva convinto i suoi sei ministri a rimanere nell’esecutivo. Ma poi Dilma ci ha ripensato, e li ha rimossi lo stesso.
Insomma, grande è il caos in Brasile ad appena quattro mesi dalle Olimpiadi di Rio, la cui inaugurazione è prevista per il 5 agosto. E il marasma non permette affatto di affrontare nel modo migliore una sfida che si annuncerebbe comunque complicata. Già dalla scorsa estate, infatti, l’Associated Press ha denunciato la grave contaminazione delle acque destinate alle gare acquatiche. All’epidemia di zika se ne è ora aggiunta una di influenza A, che ha causato 46 morti in due mesi. La crisi economica ha imposto tagli, per cui gli atleti che vorranno nelle loro stanze aria condizionata e televisore se li dovranno pagare da soli. C’è poi il caso della compagnia scozzese Aggreko, che può vantare d’aver “illuminato” nove olimpiadi e sei mondiali di calcio: a causa dei pagamenti ritardati, ha annunciato di volersi ritirare dalla gara di appalto per le forniture di elettricità al villaggio olimpico. Da ultimo, ci sono state le dimissioni del colonnello Adilson Moreira. Il responsabile della sicurezza alle Olimpiadi di Rio si “vergogna” che il paese sia gestito da “un gruppo di furfanti” e se ne va sbattendo la porta, proprio subito dopo l’allarme lanciato dal ministro della Difesa uruguayano, Eleuterio Fernández Huidobro, in un’intervista al quotidiano di Montevideo el País, su una quantità di argentini e brasiliani affiliati allo Stato islamico e pronti a insanguinare i Giochi. “Il Brasile è minacciato, ma non domandatemi perché o per cosa lo è”, ha detto il ministro: che come ex capo dei Tupamaro evidentemente di minacce terroriste se ne intende.