Cruz vince nel pragmatico Wisconsin e Trump la prende male. Nottata trionfale per Sanders
New York. Che il pragmatico Wisconsin non offrisse terreno fertile per Donald Trump era scritto nei cuori e nei sondaggi. Uno stato dove, parlando dello stato centrale, gli elettori di destra si dicono più “insoddisfatti” che “arrabbiati” e il 60 per cento di questi è “preoccupato” se non “spaventato” dalla prospettiva di una presidenza Trump sembra disegnato per premiare il candidato dell’establishment, chiunque egli sia. In questo caso Ted Cruz, che dell’establishment non ha molto ma lungo la strada si è adattato bene al ruolo, invero singolare, del federatore ragionevole del fronte anti Trump. Il resto lo hanno fatto l’endorsement del governatore Scott Walker, efficace leader locale e disastroso candidato nazionale, e le manovre di raggruppamento dei conservatori di buona volontà. I sondaggi, tuttavia, non prevedevano che Cruz vincesse con un margine attorno ai tredici-quattordici punti, un divario che conferma la conquista di un chimerico “momentum” (parola del momento, scusate il bisticcio) che il senatore ha rivenduto come “punto di svolta” della campagna per conquistare la nomination “prima di Cleveland oppure a Cleveland”. Il passaggio prudente rivela un certo realismo sulla possibilità concreta di conquistare almeno 1.237 delegati prima della convention di luglio, perché la matematica non è un’opinione, il momentum sì. Trump ha preso male la sconfitta. Ha evitato discorsi e conferenze stampa, fatto raro nella sua logica della sovraesposizione, e ha rilasciato una nota rancorosa in cui chiama il bugiardo Cruz un “cavallo di Troia usato dai capi del partito per tentare di rubare la nomination a Trump”. In virtù del regolamento “winner takes most” del Wisconsin, Trump ha raggranellato ugualmente alcuni delegati (tre o al massimo sei, il calcolo è complesso) dei 42 messi in palio, il che significa che deve conquistare il 58 per cento dei delegati rimasti da qui alla fine delle primarie.
E’ la stessa percentuale che deve vincere il socialista Bernie Sanders per battere Hillary Clinton (senza contare i superdelegati, che sono tanti e devoti per la stragrande maggioranza all’ex segretario di stato). Anche Bernie soffre in forma cronica il divario fra momentum e matematica, e la nottata trionfale del Wisconsin, dove ha vinto di circa 12 punti – più del previsto – può avere un senso soltanto nella remota ipotesi che funga da tappa di transizione verso il grande sacco elettorale di New York il 19 aprile, cosa che aprirebbe un dramma politico e psicologico sconfinato per Hillary.