Il college dell'Ohio dove la retorica antisemita è “libertà accademica”
Roma. E’ un mese che l’Oberlin College, università dell’Ohio, trascina il caso di Joy Karega. Questa ricercatrice di retorica e composizione ha sostenuto su Facebook che gli attentati dell’Isis fossero frutto di un complotto fra Cia e Mossad, appiccicando poi sul proprio profilo materiale antisemita – in particolare contro Netanyahu e i Rothschild – che non merita di essere riportato.
L’incidente non le è costato il posto solo perché in America vige la “academic freedom”, per cui un docente non è passibile di licenziamento se esprime opinioni erronee od offensive su argomenti che esulano dalla propria materia: il contenuto politico delle repellenti argomentazioni della Karega non inficia il suo status di studiosa della retorica. A sostenere il diritto di esprimere ogni opinione è intervenuto Marvin Krislov, presidente dell’Oberlin nonché esempio di ragguardevole tolleranza se si considera che è egli stesso ebreo ortodosso. Pur dichiarandosi ferito nell’intimo dai post antisemiti, Krislov ha ribadito la preminenza della libertà accademica anche in questo caso limite, poiché essa soltanto può garantire “la ricerca indipendente, l’espansione della conoscenza, la creazione di un ambiente in cui la cultura possa fiorire”. Garantisce anche che un docente non si trovi sul lastrico a causa delle opinioni politiche che professa; e in effetti, a pensarci bene, cacciare la Karega costituirebbe un precedente per cui potrebbero essere licenziati docenti le cui posizioni conservatrici – benché svincolate dai contenuti della loro ricerca – non si allineano a quelle progressiste dell’ateneo che li paga.
Il post su Facebook della professoressa Karega
Qualcuno sospetta però che la tolleranza del presidente travalichi dalla saggezza all’ingenuità. Sul Washington Post un ex alunno si è riservato il diritto di contestare presso gli organi competenti l’evenienza che possa trovarsi la benché minima “giustificazione a questi post ripugnanti”. Sulla rivista dell’università il direttore del dipartimento di Studi semitici, Abraham Socher, ha dichiarato che non intende contestare il diritto della Karega di dire ciò che vuole ma ha aggiunto: “Chiunque sia tentato di pensare che ciò che ha scritto non fosse antisemita, o che bisognasse contestualizzarlo creativamente, dovrebbe chiedersi se sarebbe stato concesso lo stesso alibi a qualsiasi altra forma di discorso aggressivo”.
Colpisce in tutto questo lo strano silenzio degli studenti dell’Oberlin, cui Emily Shire ha dedicato martedì sul Daily Beast una lunga inchiesta, anzi, una requisitoria che merita lettura integrale e da cui emerge che nell’ateneo altre minoranze sono state trattate molto più rispettosamente degli ebrei. Di recente gli studenti dell’Oberlin hanno protestato contro “l’appropriazione culturale del cibo” (cioè il fatto che venga servito del sushi), hanno bandito dalla palestra i maschi cisgender (cioè nati maschi e rimasti tali), hanno stilato una “Hall of fame della cultura dello stupro” (cioè una lista di proscrizione coi nomi degli studenti repubblicani).
Che qualcosa puzzasse nell’aria dell’Oberlin poteva capirsi dal fatto che, due mesi prima del caso Karega, alcuni ex alunni avevano inviato una lettera aperta contro l’antisemitismo diffuso. Non l’avevano sottoscritta molti studenti in corso, evidentemente impegnati in altro: tipo stilare una prolissa petizione in cui richiedevano il licenziamento di determinati docenti, fra cui il professore di Teoria musicale, a causa dei “toni razzisti sottesi al suo corso, radicato nella supremazia dell’uomo bianco”.