Il voto olandese anti Kiev prova che l'europeismo non si porta più
Bruxelles. A meno di 100 giorni dal referendum sulla Brexit, mercoledì gli olandesi hanno inflitto il terzo “no” all’Europa degli ultimi dodici mesi, rigettando con il 61,1 per cento l’accordo di associazione con l’Ucraina. Il colpo è duro, non solo per il governo del premier liberale Mark Rutte, che ha la presidenza di turno dell’Ue. Prima del referendum, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, aveva avvertito che una vittoria del “no” avrebbe potuto “aprire la strada a una crisi europea”. E’ “un voto di sfiducia nei confronti delle élite di Bruxelles e dell’Aia”, ha detto Geert Wilders, leader del partito eurofobo Pvv, subito complimentato via Twitter dalla collega francese del Front National, Marine Le Pen.
Secondo Wilders, che ha fatto campagna per il “no” insieme all’estrema sinistra degli ex maoisti del Partito socialista, il referendum segna “l’inizio della fine dell’Ue”. I sostenitori della Brexit nel Regno Unito hanno ripreso fiato, in un momento fiacco della loro campagna a favore dell’uscita britannica. Il grande vincitore geopolitico è il presidente russo, Vladimir Putin. “I risultati del referendum olandese sull’accordo di associazione Ue-Ucraina indicano l’opinione degli europei sul sistema politico ucraino”, ha detto il suo premier, Dmitri Medvedev. Putin non solo vede l’Ucraina allontanata dall’Europa, ma anche un’Ue alle prese con molteplici crisi e sempre più contestata dai suoi cittadini.
Dopo la morte di quasi 200 olandesi sul volo MH17, abbattuto da un missile russo sui cieli dell’est ucraino nell’estate del 2014, l’esito del referendum mostra che la contestazione dell’Ue mobilita gli elettori molto più della paura di Putin. Juncker “è triste”, ha spiegato il portavoce della Commissione, senza precisare quali saranno le conseguenze del “no”. La sostanza dell’accordo continuerà a essere applicata. La Commissione intende proporre entro fine mese la liberalizzazione dei visti per l’Ucraina. Poiché il referendum olandese ha solo valore consultivo, toccherà al governo dell’Aia “analizzare l’esito” e “decidere cosa fare”, ha detto il portavoce della Commissione. E’ la stessa linea che era stata adottata di fronte agli altri due “no” all’Ue dell’ultimo anno: il grande “Oxi” dei greci al piano di salvataggio in luglio e il rifiuto dei danesi di entrare nella politica di cooperazione Ue nel settore della polizia a dicembre. Rutte ha già detto che ora non può più accettare l’accordo così com’è. Ma, come con Grecia e Danimarca, i giuristi comunitari sono già al lavoro per trovare un espediente (un protocollo o una dichiarazione) per superare l’impasse.
Eppure l’Europa in ritirata, salvo trovare soluzioni tecniche per aggirare la volontà degli elettori, non porta frutti nelle urne. Il quorum del 30 per cento in Olanda è stato superato nonostante l’establishment europeista olandese avesse puntato sull’astensione per invalidare il referendum. La Commissione, sulla difensiva dalla bocciatura del trattato costituzionale da parte di francesi e olandesi nel 2005, aveva deciso di non implicarsi nella campagna elettorale. Juncker “continuerà a battersi per l’Europa. Forse rimarrà il solo a farlo, ma lo farà”, ha garantito il suo portavoce.
In realtà, la sfilza di “no” popolari rischia di allungarsi fino a un punto di rottura. In Olanda una legge dell’estate 2015, che consente di bloccare qualsiasi legge in Parlamento facendo scattare referendum consultivi con 300 mila firme, annuncia altri referendum su questioni europee chiave, come l’accordo di libero scambio con l’America o le misure per rafforzare la zona euro. Ma a terrorizzare l’Ue è soprattutto il prossimo appuntamento con gli elettori britannici sulla Brexit del 23 giugno. “Hooray!”, ha twittato il leader dell’Ukip, Nigel Farage, dopo il “no” olandese. Secondo i sondaggi, gli “in” e gli “out” sono testa a testa. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha deciso di spostare la data del prossimo vertice, inizialmente previsto nel “Brexit day”: i capi di stato e di governo potrebbero essere costretti a discutere di una nuova crisi potenzialmente mortale per l’Europa.