L'intelligence inglese prova a “bloccare i terroristi all'inizio del piano”
Roma. L’intelligence inglese è alle prese con un problema di terrorismo pari a quello di Belgio e Francia. Circa ottocento inglesi sono partiti per andare a combattere in Siria e in Iraq, contro i cinquecento partiti dal Belgio (che è più piccolo, ma è una consolazione magra) e l’anno scorso, secondo il primo ministro David Cameron, i servizi di sicurezza hanno sventato “sette grandi attacchi”. La minaccia a Londra era costante anche prima dell’espansione dello Stato islamico a causa della presenza di cellule di al Qaida e già nel 2013, quando i primi volontari di ritorno dalla guerra in medio oriente cominciavano a essere una minaccia, un responsabile della polizia per l’antiterrorismo, Stuart Osborne, spiegava che ogni anno la sicurezza inglese sventava un attentato pari a quello del luglio 2005 – che uccise 52 persone con quattro bombe contro il sistema di trasporto pubblico della capitale.
Da Londra Raffaele Pantucci, che dirige un programma sulla radicalizzione e terrorismo per il think tank Royal United Services Institute, dice al Foglio che l’approccio dei servizi di sicurezza inglesi è diverso rispetto a quello continentale. “Tutti gli attacchi sono sventati quando sono ancora nella fase preliminare, e infatti se si vanno a vedere le carte dei processi si vede che non ci sono piani in fase avanzata, ma soltanto preparativi, intenzioni, intercettazioni: e questo è il segno di un approccio proattivo”, diverso da quello passivo dei belgi – “che però non hanno le risorse sufficienti per sorvegliare tutti”. “Nell’unico caso in cui gli attentatori si erano riusciti a procurare un’arma da fuoco, una pistola automatica, sono stati arrestati il giorno seguente”. La rete sparpagliata che agiva tra Parigi e Bruxelles ha avuto il tempo di preparare vesti esplosive, valige bomba, quindici chili di esplosivo in più, in uno o più laboratori che non sono ancora stati localizzati, e aveva a disposizione fucili d’assalto kalashnikov “che in Belgio – nota Pantucci – sono molto più facili da trovare che in Gran Bretagna”.
I servizi di sicurezza inglesi, a differenza di quelli del Belgio, godono anche di una maggiore coordinazione tra intelligence e polizia, a partire dall’attentato del 2005 che servì da spunto per una completa riorganizzazione. Nel 2015 ci sono stati 280 arresti nel Regno Unito legati al rischio terrorismo e, sebbene molti non si siano trasformati in processi, danno l’idea della mole di lavoro di indagine e sorveglianza dei servizi, il MI5 che è diretto da Andrew Parker e si occupa della sicurezza interna e il MI6 che si occupa dell’estero – ma la materia è più che mai interconnessa con il rischio interno – ed è diretto da Andrew Younger, che ha speso anni di carriera in medio oriente e Afghanistan e ha una relazione personale stretta con Bernard Bajolet, capo dell’intelligence francese, con cui c’è un rapporto di cauta collaborazione.
Accanto al lavoro di indagine c’è anche un tentativo da parte del governo e in fase più avanzata di coinvolgere le comunità musulmane per prevenire la radicalizzazione dei giovani, che in Inghilterra sono legate soprattutto all’Asia. Ma, come ripetono gli esperti su tutti i giornali inglesi, il rischio di un nuovo attentato resta sempre e comunque alto.
Dalle piazze ai palazzi
Gli attacchi di Amsterdam trascinano i Paesi Bassi alla crisi di governo
Nella soffitta di Anne Frank