Il wikifun di Assange e De Cataldo
Qui si sostiene da tempo che noi non siamo informati, siamo manipolati; non siamo manipolati con cura e meticolosità criminale, piuttosto con modalità grottesche; sottrarsi alla servitù di questa follia non è difficile. Basta ragionare. Vedere le cose per quel che sono. Opporsi alla reiterazione monotona e indifferente degli scandali che generano scandali e si fondano esclusivamente sulla percezione degli scandali, saltando l’essere politico e la realtà degli avvenimenti. Un caso in cui si può usare la parola “decostruire”. E’ una cosa seria, tutto questo casino, specie per le sue connessioni con le lotte di potere, il dispiegarsi della grande politica internazionale, e per lo stato della mente umana nel XXI secolo: ma è anche una cosa un po’ burlesca. Come nel caso di Julian Assange e di Giancarlo De Cataldo, oggi sugli scudi della cronaca.
Assange è uno che si è rimpannucciato e ha trovato un suo modo di essere e di apparire procurandosi non si sa come derrate di file e spacciandoli nell’universo dell’etere. Sono file diplomatici e come tutti quei materiali sono riservati. Non dicono nulla di veramente speciale sulla storia e sulla consistenza e sul carattere dei poteri di stato e militari, ma hanno un’apparenza che si vende e si percepisce come merce rara ed esclusiva. Non hanno a che vedere con l’inchiesta giornalistica, con il giornalismo investigativo classico, con i grandi documenti riservati pubblicati con uno scopo e una caratura particolare (i Pentagon Papers, per esempio, all’epoca della guerra del Vietnam).
Sono solo un prodotto arruffato e confuso che messo in rete frutta notorietà a tutte le latitudini, un monumento di cartongesso ora esposto al festival (appunto) del giornalismo in una piazza di Perugia, gran chiasso, e tutti i guai noti che hanno portato, per accuse di comportamento sessuale molesto (di cui non ha importanza discutere qui), il povero Assange a sopravvivere come può, magari non benissimo ma nemmeno malissimo, ospite incongruo dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, inseguito dall’ira degli apparati della forza e del diritto di numerosi stati occidentali coinvolti.
Julian Assange, fondatore di WikiLeaks (foto LaPresse)
Si sapeva che Assange dal suo rifugio è diventato, ma guarda, il corrispondente di una televisione putiniana (Russia Today) per la quale cura una trasmissione. Ma non si poteva prevedere, cosa a suo modo parecchio divertente, che il profeta della libertà di stampa e di espressione fosse diventato così tifoso di Putin da avallare, cosa possibile ma troppo verisimile per essere anche vera, l’idea che i Panama Papers siano una macchinazione contro Putin di George Soros, il finanziere di origine ungherese, e delle agenzie spionistiche del governo americano. E’ la tesi di Putin, è la tesi di Assange. Bene. Wikifun.
Giancarlo De Cataldo è un magistrato che si è occupato di crimine a Roma. Sia con le inchieste sia con le sceneggiature e i romanzi. Ha avuto successo, sopra tutto come sceneggiatore e romanziere di materiali che nell’ordine della fiction hanno funzionato ma in quello del diritto non sono stati dirozzati e spiegati abbastanza. Ma l’ibridazione dei due mestieri ha provocato una certa opacità nello statuto di entrambe le professioni. Quando si presenta, lui che ha vinto premi di sceneggiatura, ha contribuito a film e serie tv molto popolari, ha affermato un genere che potremmo convenzionalmente chiamare roman crime, er crimine de Roma, il tratto di marketing o il brand che predilige è ovviamente quello di magistrato che ha anticipato il fenomeno mafioso nella Capitale, quella story inventata o ritrovata da inchieste reportage successive e attualmente al vaglio di un sonnacchioso processo di cui non frega niente a nessuno (Mafia Capitale).
Noi manipolati siamo tutti convinti che Salvatore Buzzi, il detenuto redento della Cooperativa 29 Giugno, e il suo vecchio amico della mala Massimo Carminati siano i burattinai di una vasta cospirazione criminale di tipo mafioso: ce lo hanno assicurato quelli del pool dei pm, che hanno proceduto a intercettazioni a strascico, imputando la mafia anche al giro dei cravattari o strozzini che si riunivano presso una pompa di benzina di Roma nord.
Prima udienza del processo Mafia Capitale (foto LaPresse)
La manipolazione sta nel fatto che in mancanza di arsenali ci hanno fatto vedere un coltello giapponese per tagliare il pesce, in mancanza di pathos cinematografico ci hanno fatto vedere l’arresto di Carminati come fosse l’arresto del Padrino, in mancanza di morti ammazzati e di volumi d’affari corrispondenti a una grande tragedia mafiosa ci hanno fatto leggere cifre stravaganti, fattispecie di reato di quarta categoria, appalti da mozzorecchi di borgata per la raccolta delle foglie o un campo rom da gestire, chiacchiere grottesche al telefono tra guappi di cartone che si sentivano reucci, e alla fine hanno imposto con rigore militare, querele ai dissenzienti e ostracismo per chi non beve il cliché di una Roma corleonese invasa dalle cosche alla palermitana, però con la glossa che ogni mafia è mafia a sé e non bisogna generalizzare troppo.
Ora però al sonnacchioso processo hanno dovuto interrogare De Cataldo, i magistrati del suo ex distretto, e gli hanno dovuto chiedere conto di intercettazioni telefoniche in cui scherza con Buzzi, parla di investimenti nella cooperativa che secondo la stravagante accusa è la cosca-base della mafia romana, se la divertono sui funerali di un boss, Gianfranco Urbani detto il Pantera, con De Cataldo che dice al Buzzi-Riina: “Porello, banditi così non ne fanno più”. E addirittura parlano dello schema politico di Buzzi, che voleva De Cataldo sindaco e Carminati capo dei vigili. E il romanziere magistrato, parlando di Carminati: “Lui sì che fa funzionare le cose”.
Ecco. Ora si capisce il fondo grottesco del processo su Mafia Capitale, e lo sfondo paraculo delle grandi e piccole manipolazioni mediatiche. Quando parlavano di investimenti, di banditi e di assalto alla città, scherzavano. Almeno con De Cataldo, questo è sicuro. Forse scherzavano anche tra loro. Wikifun.