Il primo ministro inglese David Cameron con degli studenti in occasione del referendum sulla futura adesione della Gran Bretagna alla EU

Tutt'attorno ai Papers che fan tribolare Cameron c'è scritto Brexit

Paola Peduzzi
Il film “Brexit: The Movie” e i tormenti del premier inglese, di cui sono richieste le dimissioni. Il film è rivolto a tutti, ai giovani che sono tendenzialmente più eurofili e ai meno giovani euroscettici, “è un documentario in cui ci sono molte voci nel Regno Unito e nel resto dell’Europa".

Milano. I Panama Papers hanno scritto tutt’attorno la parola “Brexit”. Fin da quando lo scandalo è scoppiato, coinvolgendo Ian Cameron, padre defunto del premier britannico David Cameron, i commentatori hanno detto in modo più o meno ironico che l’effetto immediato dell’operazione dei Papers sarebbe risultato a favore dei sostenitori della Brexit. Dopo aver fornito una serie di versioni discordanti, Cameron ha ammesso di aver posseduto azioni per un valore di circa 38 mila euro in una società off shore gestita da suo padre (ha dismesso tutto prima di essere eletto primo ministro, nel 2010).

 

L’unica sua colpa è “uno spin disastroso”, ha scritto Fraser Nelson, direttore del magazine conservatore Spectator, ma dopo l’intervista della cosiddetta “confessione” si sono moltiplicate le domande di dimissioni del premier da parte dell’opposizione, che lo accusa di una totale mancanza di etica, mentre i sostenitori della Brexit dicono: ecco un’altra dimostrazione di quanto sia fallace e delinquente il mondo cui fa riferimento Cameron, dall’Europa fino al modello stesso di capitalismo. Polly Toynbee, columnist del Guardian non certo considerabile una fan del premier (ha appena scritto un libro dal titolo “Cameron’s coup”), ha tuittato: “Tempi strani: molti chiedono a Cameron di andarsene ma hanno bisogno che si fermi fino al referendum o verrà scelto un premier a favore della Brexit. Sto sostenendo Cameron?? Santo cielo!”. Il cortocircuito dei Panama Papers nel Regno Unito è tutto qui, punta dritto al referendum del 23 giugno, e fa il gioco dei sostenitori del “leave”, che si organizzano e si mobilitano sempre più convinti.

 

Non c’è momento migliore per parlare agli indecisi, quel 30 per cento di elettori che ancora non sa, o non dice, che cosa voterà alla consultazione popolare. A loro è rivolto il film della Brexit – si intitola proprio così, “Brexit: The Movie” – che sarà presentato all’Odeon di Leicester Square a Londra l’11 maggio (si potrà vedere online dal giorno successivo). Nella rubrica “City Insider” del Financial Times ieri si ricordava che gli autori lo definiscono “uno degli eventi-culmine dell’intero movimento del leave”. “Vogliamo parlare agli indecisi e a chi ancora non ha pensato bene alla questione europea”, dice al Foglio Charlotte Bowyer, tra i produttori del film che si occupa soprattutto del crowdfunding organizzato con Kickstarter. Il film è rivolto a tutti, ai giovani che sono tendenzialmente più eurofili e ai meno giovani euroscettici, “è un documentario in cui ci sono molte voci nel Regno Unito e nel resto dell’Europa – dice Bowyer – Ci sono interviste con giornalisti, accademici, economisti e politici di ogni parte. I più famosi sono l’ex leader conservatore Michael Howard, l’ex cancelliere conservatore Nigel Lawson, così come l’attuale leader dell’Ukip Nigel Farage”, sul quale il regista del film, Martin Durkin, aveva già girato un documentario. La questione europea non è un monopolio politico, “tra le piccole aziende e la gente normale, dal pescatore in difficoltà alla Tate and Lyle, la compagnia dello zucchero. Tutti insieme costruiscono una tesi convincente sulla necessità di abbandonare l’Ue”.

 



 

Le argomentazioni del film sono quelle classiche della campagna del “leave”: la mancanza di democrazia in Europa, il controllo eccessivo dell’Ue sulle vite dei cittadini degli stati membri, il costo della membership. “Ci sono così tante questioni aperte nel Regno Unito oggi – spiega Bowyer – dall’immigrazione ai problemi dell’industria del ferro alla ‘tampon tax’, su cui il nostro governo non può agire direttamente”.  Parlando con la producer del film della Brexit emergono tutte le debolezze del messaggio di Cameron e del “remain”, soprattutto quel “Project fear”, il progetto della paura, su cui si è intestardito il premier: spaventare per convincere, l’incertezza è il nemico peggiore, se lasciamo l’Ue sarà un disastro. “Guardiamo alla Norvegia e alla Svizzera per capire come il Regno Unito può prosperare nel commercio globale. Vogliamo mostrare al pubblico che lasciare l’Ue è un passo positivo ed eccitante”, ribadisce Bpwyer. Tutti sono chiamati a unirsi, a destra e a sinistra, è vero che la guerra civile è dentro ai Tory, ma anche “la sinistra e i socialisti denunciano il potere del big business legato all’Europa”. La prossima settimana il leader del Labour, Jeremy Corbyn, pronuncerà un discorso sull’Ue, lui che è per il “remain” ma ideologicamente condivide molto del “leave”. Corbyn insiste sulle dimissioni di Cameron, e la producer del film della Brexit dice: “Questa storia non aiuta l’immagine pubblica del premier, soprattutto tra gli elettori del Labour ai quali viene chiesto di sostenere lo stesso Cameron al referendum”. Eccola di nuovo qui la scritta “Brexit” tutt’attorno ai Panama Papers.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi