Una manifestazione di Nuit Debout a Place de la République

I nottambuli anti Macron

Paola Peduzzi
La piazza di Nuit Debout a Parigi è un franchising contro le riforme, tra libri, fiori e gestualità “serena”. Il regista, l’economista-filosofo e la tentazione della lotta di classe con i sindacati. Senza gerarchie, i manifestanti si riuniscono in commissioni, e pensano al futuro in termini per ora di espansione geografica.

Dietro al ragazzo con il cappello che sta parlando in un angolo di Place de la République c’è un cartello con i gesti ammessi per manifestare i propri sentimenti in modo gentile, perché la serenità dei dibattiti qui è sacra. Sono i gesti che rappresentano “la democrazia”, nove posizioni stilizzate, che sembrano un po’ quelle che sbucano dai muri delle palestre per rafforzare muscoli e respirazione. Le più utilizzate sono: agitare le mani in aria in segno di approvazione, o incrociare le braccia, quando non si è d’accordo. Le mani alzate, una a pugno chiuso l’altra sventolante a dita aperte, sono il simbolo di Nuit Debout, il movimento degli indignados parigini, che dal 31 marzo si riuniscono nella piazza più celebre soprattutto in quest’ultimo anno francese, con la statua della République ornata di ceri, candele, messaggini, scarabocchi e manifesti – quello che è rimasto appeso più in alto, solitario, dice: “Dove sei, democrazia?”.

 

Nuit Debout, che vuole dire notte in piedi, è una manifestazione partita il 31 marzo in opposizione alla riforma sul lavoro del governo di Manuel Valls, ma presto è diventata un sit-in permanente, con ambizioni di espansione fuori da Parigi, ovviamente, ma anche fuori dalla Francia. La piazza che aspira a diventare paneuropea non ha leader riconosciuti, anche se è molto popolare tra i ragazzi che si riuniscono nel cuore di Parigi François Ruffin, il regista di un documentario che si intitola “Merci patron!”, che sabato scorso si è presentato di fronte alla piazza e con la consueta serenità ha esortato i manifestanti a “uscire dalla piazza” e a passare alla seconda fase, per farsi sentire di più, e da tutti: nominare degli ambasciatori di Nuit Debout e conquistare banlieues e campagne. Ruffin indossava la sua maglietta d’ordinanza con scritto “I love Bernard Arnault”, il capo del gruppo del lusso LVMH che è il “patron” che dà il titolo al documentario satirico uscito alla fine di febbraio e che, come è intuibile, è contro la rapacità degli imprenditori. Non è un caso quindi che tra i cartelli che nel fine settimana circolavano nella piazza di Nuit Debout ben più piena che nei giorni feriali ce ne fosse anche uno che diceva: “Macron assassino”, dove Macron è l’arcinoto ministro dell’Economia francese, un superliberale che fatica a liberalizzare un paese profondamente conservatore, che ha appena lanciato un suo movimento, “En marche!”, già stigmatizzato come il partito dei padroni.

 

Lunedì mattina la polizia ha cercato rapidamente di sgomberare il sit-in, creando un pochino di confusione, ma nemmeno troppa, perché i lavori sono ricominciati già alla sera: l’urgenza è alta, si sa. Il momento di pausa è servito soprattutto ai media, che hanno così potuto parlare ancora un po’ di Nuit Debout: i giornali francesi sono innamorati di questi sparuti indignados, in questi giorni hanno raccontato con immagini e reportage ogni angoletto della manifestazione, al punto che uno dei leader della piazza, leader non riconosciuto come tutti qui, non ha nemmeno voluto parlare con il Monde, dicendo di aver avuto “una copertura mediatica sufficiente”. Con la tv di Debout e qualche personaggio più efficace degli altri, il brand è diventato ormai un franchising: c’è il corner dell’istruzione, quello del lavoro, quello dei libri e degli stand da mercatino tradizionale: il più bello, sarà che è primavera e c’è tanta voglia di fiori, è “Jardin Debout”, casse di legno e pianticelle, con il cartello “riprendiamoci il controllo sui nostri semi” in bella vista.

 

Il momento di pausa è anche servito ai manifestanti per farsi delle domande: che cosa vogliamo fare adesso, che cosa andiamo cercando, cosa desideriamo essere domani? I partiti vedono con terrore questa piazza: in Francia c’è un’atmosfera elettorale da fine del mondo anche se manca un anno alla contesa presidenziale, con il presidente François Hollande ai minimi nei sondaggi, una grande agitazione per lo strappo di Macron, e la paura totalizzante dell’avanzata del Front national. Ci mancano giusto gli indignati che sognano di diventare come Podemos in Spagna. I media sono già conquistati alla causa, parlano dell’ambizione europea di Nuit Debout con lo stesso slancio con cui si occupano del partito paneuropeo dell’ex ministro dell’Economia greco Yanis Varoufakis: inebetiti dal fascino della democrazia dal basso, qualsiasi sbocco essa abbia (se mai ne dovesse avere qualcuno). I manifestanti riconoscono il loro potere – la piazza va forte ovunque, quella francese poi è tra le più efficaci del mondo, se si tratta di riforme del lavoro in particolare, come dicono alcuni studenti di Nuit Debout: “Non c’è nessuno più temibile di noi” – ma ancora non hanno deciso come sfruttarlo al meglio. Frédéric Lordon, schivo economista-filosofo che arringa la folla ma s’innervosisce se si sente definire “la rock star dei nottambuli”, chiama alla lotta di classe, dice che lo sciopero deve essere generale e continuo, ci sono prezzi necessari da pagare, “quel che inizia in una piazza poi non finisce mai lì”, si fa più grande, più influente, più autonomo. Lordon ama gli slogan poetici, “bisogna bloccare tutto prima che qualcosa si sblocchi, arriva inevitabilmente il momento in cui le teste si alzano e scoprono da sole quanto è indimenticabile la ribellione. Questo momento è il nostro, questo momento è il nostro”, e sembra che riecheggi nei versi dell’economista-filosofo quel misto di rabbia e di immobilismo che viene imputato ai politici e “al sistema”.

 

I nottambuli si sentono forti, ma non bastano le escursioni live sui social media in giro per la città, come “l’apéro chez Valls”, organizzato sabato sotto casa del primo ministro, che era in visita in Algeria e in questi giorni è l’uomo più nervoso di Francia (per colpa di Macron, è chiaro). Senza un leader – le gerarchie sono le vostre! – e con tante piccole commissioni che discutono, tra fiori e libri, dell’intera scienza umana (“del sesso degli angeli solidali, della sinistra, rivoluzionari, progressisti”, come ha scritto Erci Verhaeghe sul Figaro), è difficile trovare uno sbocco comune, se non quello, che si porta sempre: l’odio verso il flic che si avvicina per sgomberare, e che se fa qualcosa di più “be’, allora dobbiamo reagire”.  C’è l’esempio citatissimo di Occupy Wall Street, che si era sfaldato nel momento in cui non aveva trovato un leader, e che ha dovuto aspettare l’avvento di un economista francese come Thomas Piketty per tornare ad avere una rappresentanza e che oggi si bea di sentirsi il popolo d’elezione di Bernie Sanders, candidato democratico alle primarie americane. Forse la via più semplice per la ribellione più conservatrice che c’è, la piazza francese bella e calda (questa non più di tanto, ma dipende dall’orario in cui si passa per place de la République), è quella di unirsi ai sindacati, che mai come in questo momento vogliono prendere in ostaggio il Partito socialista, visto che “l’assassino Macron” ha inaugurato una sua iniziativa politica, lasciando sguarnito il fronte dentro a un partito che non ha mai superato il tormento tra socialismo e liberalismo. Basta fare un salto alla “bibliothèque Debout” per capire in quale notte tutti questi manifestanti vogliono rimanere in piedi.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi