Un soldato yemenita dell'esercito dell'ex presidente Ali Abdullah Saleh (foto LaPresse)

Anche il Canada liberal di Trudeau finisce col fare affari con la guerra in Yemen

Luca Gambardella
Il premier si rifiuta di bombardare lo Stato islamico. Ma secondo i conservatori all'opposizione non disdegna di sottoscrivere accordi miliardari per fornire armi all'Arabia Saudita. Che le usa per violare i diritti umani

Roma. Solo lo scorso febbraio il premier canadese Justin Trudeau aveva annunciato la fine della partecipazione del paese ai bombardamenti contro lo Stato islamico nell’ambito della coalizione internazionale a guida americana. “Il popolo terrorizzato dallo Stato islamico non ha bisogno della nostra vendetta, ha bisogno del nostro aiuto”, aveva detto il primo ministro liberal. Molti commentatori canadesi avevano criticato la decisione, mentre la sinistra europea l’aveva accolta come un modello del non interventismo.

 

Questa settimana però l’esecutivo si ritrova a gestire la sua prima vera crisi politica e a generarla è il coinvolgimento indiretto del Canada nella guerra in Yemen. L’opposizione conservatrice ha accusato il governo di aver concluso con l’Arabia Saudita un accordo commerciale del valore di 12 miliardi di dollari per la vendita di veicoli militari blindati usati nella campagna militare yemenita. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, la guerra condotta dalla coalizione araba a guida saudita contro la minoranza sciita degli Houthi ha causato finora oltre 6 mila vittime tra i civili. Di più, l’intervento ha finito per favorire un vuoto di potere in Yemen da cui hanno tratto vantaggio le milizie estremiste di al Qaida e dello Stato islamico.

 


Le conseguenze di un raid aereo saudita in Yemen dello scorso febbraio (foto LaPresse)


 

La transazione conclusa tra Ottawa e Riad, la più redditizia nella storia dell’industria della Difesa canadese, riguardava in particolare dei mezzi dotati di armi anticarro da impiegare nella “stabilizzazione dello Yemen”. La definizione è tratta da uno dei documenti ufficiali diffusi dal dipartimento della Difesa del Canada in risposta alla vertenza presentata dai conservatori per bloccare la vendita. Il governo di Trudeau ha risposto che fermare la vendita delle armi era ormai impossibile perché l’accordo era già concluso da tempo, sottoscritto dal precedente esecutivo conservatore. Cancellarlo, avevano riferito dal partito dei liberali, avrebbe comportato ingenti penali da pagare a Riad e la perdita di posti di lavoro. Ma le carte diffuse in settimana dal dipartimento della Giustizia, che davano il via libera a un documento essenziale per l’esportazione dei sistemi d’arma, riportano la firma dell’attuale ministro degli Esteri, Stéphane Dion, con la data di venerdì scorso.

 


Il premier canadese Justin Trudeau in visita a Washington (foto LaPresse)


 

“Le informazioni più aggiornate a nostra disposizione indicano che l’Arabia Saudita non ha impiegato l’equipaggiamento per violare i diritti umani”, ha provato a spiegare Dion. Soprattutto, “lo stesso equipaggiamento non è stato impiegato in modo da mettere a repentaglio gli interessi e la strategia del nostro paese”, ha continuato. Il parlamentare conservatore Tony Clement ha però fatto notare che la legge canadese non necessita di prove circa evidenti violazioni dei diritti umani in seguito all’utilizzo delle armi vendute: basta piuttosto evitare il semplice rischio che queste vengano usate contro il diritto umanitario internazionale. A rincarare le accuse nei confronti dell’esecutivo è stato il leader del partito d’opposizione, Thomas Mulcair, che ha accusato Trudeau di “aver mentito al popolo canadese su chi ha firmato cosa e quando in merito all’accordo con l’Arabia Saudita”. Il conflitto yemenita continua così a mettere nei guai i principali fornitori di armi del regno del Golfo. Stati Uniti e Regno Unito, in particolare, sono stati accusati da ong, Onu e Unione europea di gravi violazioni per aver concluso accordi commerciali di materiale bellico con Riad. Accordi che persino un liberal pacifista come Trudeau ha deciso di sottoscrivere.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.