Il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve (foto LaPresse)

La sacre sovranité francese intralcia la soluzione europea contro il terrorismo

David Carretta
Schengen, Dublino, intelligence unificate e Pnr. Su molti punti Parigi non intende arrivare a compromessi

A quasi quindici anni dall’11 settembre 2001, dopo Madrid 2004, Londra 2005, Parigi 2015 e Bruxelles 2016, dopo Mohammed Merah a Tolosa e Mehdi Nemmouche al Museo ebraico brussellese, l’Unione europea ieri ha adottato il Passenger Name Record (Pnr), una banca dati dei passeggeri aerei che entrano ed escono dall’Europa. Con 461 voti favorevoli e 179 voti contrari, l’Europarlamento ha approvato la direttiva Pnr, scegliendo in modo riluttante di seguire la strada che ha permesso agli Stati Uniti di prevenire un altro attentato sul suo suolo. Gli stati membri dovranno istituire “Unità d’informazione sui passeggeri” per raccogliere i dati dalle compagnie aeree: le informazioni su date del viaggio, itinerari, biglietti, estremi e recapiti dei passeggeri, tipologia di bagaglio e modalità di pagamento saranno conservate per cinque anni, anche se dopo sei mesi alcuni elementi verranno schermati. “Il Pnr sarà uno strumento prezioso per rafforzare la sicurezza dei cittadini europei, facilitando l’individuazione a monte dei movimenti dei terroristi jihadisti”, ha detto trionfante il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve. Dagli attentati di Parigi, la Francia ha fatto del Pnr la panacea dei mali dell’antiterrorismo europeo, e la foglia di fico dei fallimenti dell’intelligence francese. Il Pnr permette “un progresso nella condivisione di informazioni tra servizi di polizia e di intelligence europei”, ha aggiunto Cazeneuve. Ma il dibattito su Pnr e intelligence, così come le posizioni su rifugiati e Schengen, mostrano che la Francia rappresenta un ostacolo alle soluzioni europee necessarie ad affrontare le sfide del terrorismo e dei migranti. In nome della sacra sovranità.

 

A Place Beauvau, sede del ministero diretto da Cazeneuve, raccontano la fatica fatta dal governo francese per strappare il Pnr al Parlamento europeo. Dopo gli attacchi a Charlie Hebdo e al supermercato ebraico, oltre a Cazeneuve, si erano mobilitati il presidente François Hollande e il primo ministro Manuel Valls. Ma la discussione tra gli europei è andata comunque avanti per tutto il 2015 senza risultati. Un voto previsto all’inizio dell’estate dello scorso anno saltò a causa di pretese che alcune fonti del ministero dell’Interno definiscono “fallaci, disgraziate” (ma tra i più forti oppositori del Pnr all’Europarlamento c’era la delegazione del Partito socialista francese). L’ostruzionismo di alcuni governi e del Parlamento di Strasburgo è andato avanti per mesi. Soltanto dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi la questione è tornata urgente e sono stati inclusi nel Pnr anche i voli charter e i dati dei cittadini europei. Ma “ci è voluto un altro attacco” per risvegliare la coscienza delle anime belle, spiegano a Beauvau.

 

Il Pnr europeo, in realtà, è molto poco europeo, perché sin dall’inizio della trattativa cinque anni fa paesi come la Francia hanno bocciato l’idea di una banca dati unica a livello continentale. Il sistema, che entrerà in funzione solo tra due anni, prevede 28 banche dati nazionali. Il trasferimento delle informazioni da uno stato membro all’altro avverrà al termine di una lunga procedura burocratica. La direttiva si applica ai voli extra Unione europea, ma i singoli paesi potranno decidere di estenderla ai voli intraeuropei. “La Francia ha scoperto il Pnr europeo solo dopo Charlie Hebdo”, ricorda un europarlamentare che ha seguito la lunga trattativa. Il governo di Parigi si è opposto a un emendamento presentato all’ultimo minuto all’Europarlamento per rendere obbligatoria la condivisione dei dati tra gli stati membri. Risultato: alcuni dubitano che il Pnr europeo sarà efficace come quello americano.

 

La sovranità francese rappresenta anche un ostacolo insormontabile alla creazione di una Cia europea che alcuni governi e analisti considerano indispensabile per lottare contro la guerra dello stato islamico in Europa. Il premier belga, Charles Michel, l’ha chiesta dopo il 22 marzo: “La priorità assoluta è la condivisione delle informazioni” e il modo migliore è “una Fbi o una Cia europea”. Come spiega Farhad Khosrokhavar, direttore degli studi all’Ehess, l’Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi e autore di molti libri sulla radicalizzazione jihadista in Europa: “Uno dei sistemi per evitare che l’onda islamista finisca per travolgere il continente è quello dell’unificazione dei servizi. Se mancano questa collaborazione e questa integrazione, sarà pressoché impossibile prevenire altri attentati”. Ma a Beauveau si esclude la possibilità di creare un’agenzia federale europea delle intelligence. Il tono è piuttosto deciso quando se ne discute: “Non si farà”. La motivazione è tecnica: i servizi nazionali si basano su una rete di informatori e di risorse con cui si è costruito un rapporto di fiducia personale in periodi lunghi. E’ una questione di affidabilità e di credibilità: se si cambia questo meccanismo, e si introducono interlocutori di altri paesi, o se le informazioni ottenute possono essere utilizzate in modi diversi rispetto a quello che era stato pattuito, “non avremo più nemmeno una fonte”.

 

Con la crisi dei migranti esplosa all’avvio della campagna per le presidenziali del 2017, la Francia vuole riprendersi tutta la sovranità possibile anche sulle frontiere. Gli attentati hanno fornito l’alibi per annunciare la chiusura dei confini. A Beauveau si sottolinea la preoccupazione per “decine di migliaia di passaporti rubati o vergini” che vengono contrabbandati dallo Stato islamico. Ma a fare ancora più paura sono i durissimi del Front National. Viene citato un sondaggio che dà l’80 per cento dei francesi contrario a Schengen. “Tutte le ultime elezioni si sono giocate sul tema dell’immigrazione”: senza un piano concreto e comprensibile per fermare i migranti, “Schengen non avrebbe più ragione di esistere”, dicono a Beauveau.

 

La stessa dinamica riguarda le regole di Dublino, che l’Italia e la Germania chiedono di riformare, ma che alla Francia vanno bene così, perché permettono di chiudere la frontiera di Ventimiglia e di rispedire oltreconfine i migranti che sono riusciti a passare. La Commissione europea, per sondare il terreno tra i governi, ha presentato due opzioni: mantenere le regole attuali di Dublino con un sistema permanente di quote in caso di emergenza; oppure redistribuire i richiedenti asilo al loro arrivo nell’Ue. Fonti dell’Eliseo spiegano che l’obiettivo primario di Parigi è “trovare una soluzione europea” perché “se ognuno fa da solo, si crea soltanto disordine”. Come esempio, in molte conversazioni, viene portata la creazione dell’Agenzia dei guardacoste Ue, che dovrebbe essere approvata a giugno e rappresenta il simbolo della collaborazione e della solidarietà europea. Ma sulla modifica di Dublino, l’Eliseo non è disposto a compromessi sulla responsabilità del paese di primo approdo. Con la riallocazione di 160 mila richiedenti asilo decisa nel 2015 – sostengono i francesi – si è già fatta una deroga a Dublino nella direzione auspicata dal governo Renzi. Ma quando Roma chiede “di cambiare tutto” in senso europeo allora è necessario “imporre un po’ di cautela”.