Un superadvisor di Cameron ci dice i segreti del piano anti Brexit
Londra. Ci vuole innanzitutto sentimento per parlare d’Unione europea ai britannici. A farsi i conti in tasca penseranno gli elettori stessi una volta che si renderanno conto di quello che è la Brexit è: un pericoloso, sconsiderato salto nel buio cui neppure l’euroscettico più incallito riesce a dare senso e forma. “L’ex capo del civil service britannico ha fatto presente che per sistemare il rapporto con l’Unione europea in caso di uscita ci vorrebbero fino a dieci anni, un periodo lunghissimo di incertezza che sarebbe immensamente dannoso per l’economia britannica”, spiega serafico Roland Rudd, il superconsulente cui David Cameron ha affidato la strategia per la sua campagna pro Europa.
Rudd, 55 anni, è il presidente di Finsbury, la società di pubbliche relazioni che ha fondato nel 1994 e venduto a WPP nel 2001 per 40 milioni di sterline. Nella sua vita ha gestito ogni sorta di emergenza e disastro di comunicazione dei suoi clienti (più di un quarto del Ftse100), ora si sta dedicando a una crisi a bassa intensità che va avanti da più di 40 anni: il rapporto sbilenco e irrisolto tra Londra e Bruxelles. Oxoniense, ex giornalista del Financial Times, bell’uomo, ex membro del consiglio dei “saggi” di Tony Blair, è stato nominato tesoriere di Britain stronger in Europe, un ruolo che lo porta lontano dai riflettori delle cronache politiche ma vicinissimo ai gruppi di potere che sono in grado di incidere sul corso delle cose e che da sempre fanno parte del suo mondo (più Labour e Libdem che Tory, dicono).
A due mesi e poco più dal referendum del 23 giugno la posta in gioco è talmente alta che anche il leader laburista Jeremy Corbyn, l’uomo più distante da Rudd che si possa immaginare, si è finalmente scosso dal suo torpore referendario e ha fatto un discorso chiaro sulle “ragioni socialiste per rimanere nell’Unione europea”, ieri mattina. “Non si può costruire un mondo migliore se non sei coinvolto nel mondo, non ti crei alleanze e realizzi dei cambiamenti”, è riuscito ad articolare dopo che per settimane i deputati laburisti lo imploravano di lanciare un messaggio un po’ più vigoroso a favore dell’Europa dopo i balbettii degli ultimi mesi. E il fatto che dopo l’immagine efficace del “falò dei diritti” post Brexit Corbyn abbia detto che “alla Unione europea manca l’accountability democratica nei confronti dei cittadini” e che “fa pressione sugli stati membri affinché privatizzino e deregolino”, non indebolisce neppure troppo i suoi argomenti: nel Regno Unito difendere l’Europa a spada tratta è controproducente, meglio far sentire l’elettore compreso nelle sue perplessità e spingerlo a farsi coraggio e a superarle in nome di un bene maggiore.
Lo dice anche Rudd, secondo cui questo è l’unico modo per creare un messaggio europeista che non sfiorisca il 24 giugno, visto il modo in cui Bruxelles è stata massacrata dalla stampa popolare per anni con notizie spesso false, quasi sempre tendenziose: “Nessuno deve trascurare gli errori della Ue e nessuno deve dire che è perfetta, lungi da questo, ma la possibilità di creare una narrativa che duri nel tempo esiste ed è basata sul fatto che il Regno Unito prende ciò che di meglio c’è da una parte e dall’altra, rimanendo fuori da Schengen e dalla zona euro, facendo scambi commerciali con l’Europa mentre tesse relazioni commerciali prospere con il resto del mondo e costruisce l’Europa a sua immagine”. Come a dire: qualunque tentativo di europeismo palpitante avrebbe conseguenze negativissime, ai britannici bisogna parlare con pragmatismo e farli sempre sentire un po’ speciali, ricordando loro che il rapporto con l’Europa è molto più vantaggioso di quello che hanno le sempre citate Svizzera e Norvegia. “Ora come ora abbiamo una Commissione europea che nella sua visione dell’Europa è quanto di più vicino ci sia a quello che il Regno Unito vuole: un’Europa riformista e aperta che promuove il libero scambio. Non sarebbe buffo se si andasse via proprio ora?”.
Roland Rudd, consulente di David Cameron per la sua campagna pro Europa
I temi più popolari
Però poi ci sono i grandi temi popolari che tengono banco e spaventano il cittadino medio, soprattutto fuori dai circoli liberal di Londra: immigrazione, crisi economica, immigrazione, immigrazione e immigrazione. Oltre a convincere la gente ad andare a votare, per uno come Rudd è ovvio che bisogna dissociare il messaggio referendario dalla contingenza dell’attualità, soprattutto visto quello che i tabloid hanno fatto all’Europa per quaranta anni. E anche alla luce degli scandali e delle emergenze che potranno esserci da qui a giugno. “Le prime pagine contano, ma contano meno di quando il paese votò l’ultima volta”, ci tiene però a puntualizzare, citando il caso delle elezioni del 2015, in cui i social media furono molto più importanti. Con “i sondaggi che danno un testa a testa e gli indecisi tra un quinto e un terzo dell’elettorato”, conterà “il modo in cui la domanda verrà inquadrata e quello che gli elettori avranno in testa” mentre andranno passeggiando verso il seggio. Difficilmente sarà il confuso fiume di dati con cui sono stati bombardati negli ultimi mesi, più probabilmente una certa idea di paese e di prosperità, di sicurezza per il futuro.
Il precedente del referendum scozzese del settembre 2014, e in parte anche delle elezioni del maggio scorso, insegna che “gli elettori non amano i salti nel buio” e che “così come Alex Salmond non è stato in grado di dire che valuta avrebbe usato una Scozia indipendente, così il fronte ‘Leave’ non ha un piano coerente per il Regno Unito post-Brexit” e non “sa spiegare come il paese prospererebbe fuori dalla Ue”. Anche perché, nota, non prospererebbe affatto. “Se pure l’advisor economico di Boris Johnson dice che ‘la maggior parte, se non tutti gli choc economici deprimono l’attività economica’”, chi pensa di votare a favore della Brexit dovrebbe “preoccuparsi considerevolmente” del fatto che nessuno abbia un piano coerente. La campagna pro Europa è “appassionata, patriottica”, con “un’offerta positiva, ottimista, che guarda al futuro per le famiglie, per le imprese, per i cittadini”, racconta tra un volo per gli Stati Uniti e una riunione fiume, spiegando che “nel mondo complesso di oggi, il futuro è più sicuro in un Regno Unito più forte”. Prima di precisare: “Non che la nostra forza dipenda dalla Ue”, ovviamente.
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